Albicocco - Prunus armeniaca

Generalità

L'albicocco è una pianta originaria della Cina nord-orientale al confine con la Russia; la sua presenza data più di 4000 anni di storia. Da lì si estese lentamente verso ovest attraverso l'Asia centrale sino ad arrivare in Armenia (da cui prese il nome Armeniaca) dove, si dice, venne scoperta da Alessandro Magno. I Romani la introdussero in Italia e in Grecia nel 70-60 a.C., ma la sua diffusione nel bacino del Mediterraneo fu consolidata successivamente dagli arabi, infatti albicocco deriva dalla parola araba Al-barquq. L’albicocco appartiene alla famiglia delle Rosacee, alla sottofamiglia delle Pruniodee, o Drupacee, ed al genere Armeniaca, al quale appartengono diverse specie che vengono descritte di seguito.

Armeniaca vulgaris: è l’albicocco comune, la specie coltivata che dà origine ai frutti destinati al consumo fresco ed alla trasformazione industriale (essiccazione, marmellate, canditi, succhi di frutta, sciroppate).

Armeniaca brigantiaca: detto anche albicocco marmotto, cresce spontaneo nella Francia meridionale e nel Piemonte; può essere interessante come portainnesto.

Armeniaca dasycarpa: specie ottenuta incrociando l’albicocco comune ed il mirabolano, è coltivato nel continente asiatico; ha frutti piccoli, violacei e di nessun pregio.

Armeniaca mandshurica: specie asiatica, di buona rusticità e resistenza agli inverni rigidi; possiede un frutto di ridotte dimensioni di bassissima qualità.

Armeniaca mume: detto anche albicocco giapponese, è utilizzato principalmente come pianta ornamentale. I suoi frutti, piccoli e verdicci, con polpa aderente al nocciolo, sono oggetto di conservazione in salamoia in Giappone e negli Stati Uniti.

Armeniaca sibirica: detto anche albicocco della Siberia, si coltiva in Russia e resiste alle basse temperature; ha frutti piccoli e poco pregiati.

La maggior produzione mondiale di albicocche proviene dagli Stati Uniti, particolarmente dalla California dove il 50% dei frutti viene essiccato e l’altra metà è destinata all’inscatolamento ed alla produzione di succhi di frutta. Le albicocche destinate al consumo fresco sono concentrate in gran parte nel bacino del Mediterraneo; la Spagna è il principale paese produttore, seguito da Turchia, Francia, Italia, Grecia e dagli stati dell’Europa centrale. A livello nazionale le aree di coltivazione più importanti sono l’Emilia Romagna (43% della produzione nazionale), la Campania (22%) e la Basilicata (12%). Oltre a questi areali primari, l’albicocco trova diffusione anche in Piemonte (5%), Sicilia (5%), Puglia (3%), Veneto (2%) e Abruzzo (2%). Il 5% della produzione totale è poi distribuito circa in parti uguali tra Sardegna, Calabria, Marche e Toscana; mentre insieme le rimanenti regioni rappresentano l’1% del totale.

Pianta di Albicocco con frutti

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Caratteristiche botaniche

L’albicocco è un albero di modeste dimensioni, se lasciato crescere liberamente raggiunge un’altezza di 5-7 m; è una specie caducifoglia che entra in riposo vegetativo durante l’inverno.

La pianta ha un portamento variabile a seconda dell’habitus vegeto produttivo, le radici si sviluppano in profondità, tanto che necessitano di terreni con un franco di coltivazione di almeno 50-80 cm; il fusto presenta una scorza rosso-scura e fessurata longitudinalmente. Le gemme, inserite sul nodo, possono essere a legno e a fiore: le prime hanno una forma conica mentre le seconde sono tondeggianti e, generalmente, localizzate su rami di un anno; a differenza delle Pomacee, nell’albicocco e nelle altre Drupacee non sono mai miste.

I rami di un anno sono rossicci e lenticellati di bianco; a seconda della vigoria e della distribuzione delle gemme a fiore lungo il loro asse, si distinguono in tre categorie: il ramo misto è mediamente vigoroso e provvisto di gemme a fiore ed a legno (in base alla cultivar le gemme a fiore possono essere distribuite lungo tutto il ramo, nella parte basale o in quella terminale), su di esso possono esserci anche gemme pronte che danno origine a germogli durante la ripresa vegetativa stessa (sono detti rami anticipati), mentre le gemme a legno si sono formate nell’annata precedente la ripresa vegetativa; il brindillo è un ramo esile dal diametro approssimativo di una matita, dalla lunghezza di una decina di centimetri ed è provvisto prevalentemente di gemme a fiore, mentre quella terminale lungo l’asse è a legno; il dardo fiorifero, o mazzetto di maggio, è un rametto lungo pochi cm con una corona di gemme a fiore e quella centrale a legno.

Le foglie sono alterne, lisce, picciolate, cuoriformi, con delle ghiandole più o meno rotonde; hanno il margine seghettato. All’inizio della loro formazione si presentano rossicce, in seguito diventano di colore verde intenso e lucide.

I fiori sono sessili (inseriti sul ramo senza peduncolo), ermafroditi, campanulacei, solitari o accoppiati e di colore bianco o rosaceo. L’albicocco generalmente è una pianta autofertile, alcune recenti cultivar nord americane e canadesi sono parzialmente autosterili (il polline dello stesso fiore non svolge la fecondazione), quest’ultime necessitano di varietà impollinatrici; l’impollinazione è entomofila, operata dalle api e da altri insetti pronubi.

Il frutto è una drupa quasi sessile di forma rotonda, separata da un solco avente una profondità variabile chiamato linea di sutura; la drupa può presentare una cavità peduncolare. La buccia, o epicarpo può essere liscia o pelosa, di colore giallo che si tinge di rosa nelle parti esposte al sole; la polpa, o mesocarpo, è gradevole, fragrante e fondente; il nocciolo, o endocarpo, è legnoso, può aderire o meno al mesocarpo. I frutti sono ricchi di vitamina A e contengono anche i sali minerali, specialmente potassio; le albicocche sono frutti a basso contenuto calorico e dissetanti.


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Fenologia, clima e terreno

Di seguito vengono descritte le fasi fenologiche più importanti dell’albicocco.

Rigonfiamento gemme: le gemme si rigonfiano, è il primo segnale della ripresa vegetativa che avviene nella seconda metà di febbraio.

Bottoni rosa: fase prima della fioritura in cui le gemme destinate a dare i fiori si presentano molto ingrossate con l’apice di colore rosa, successivamente i peduncoli dei bottoni fiorali si allungano, i sepali (simili a piccole foglie che stanno al di sotto dei petali, costituiscono il calice del fiore) si separano e lasciano intravedere i petali.

Fioritura: avviene prima della fogliazione ai primi di marzo e dura 8-10 giorni; i bottoni fiorali sono completamente aperti, rendendo visibili gli organi riproduttivi. È fondamentale che la fioritura dell’impollinatore e delle varietà autosterili scelte siano più o meno contemporanee per aumentare la probabilità di fecondazione. Una volta verificatasi questa fase i petali cadono naturalmente, il calice invece rimane ancora attaccato.

Allegagione: è lo stadio in cui il fiore viene fecondato diventando un frutticino che, una volta caduto il calice ormai secco, si evidenzia bene (scamiciatura).

Frutto noce: dopo l’allegagione i frutticini cominciano ad ingrossarsi per effetto di un’elevata attività di divisione cellulare, ad un certo punto il frutto mostra una stasi di accrescimento durante la quale avviene l’indurimento del nocciolo, col seme che assume un aspetto definitivo; questo stadio si verifica 50-60 giorni dopo la fioritura.

Accrescimento frutto: il seme perde acqua ed accumula sostanze zuccherine che sono poi traslocate al frutto, esso riprende ad ingrossarsi per effetto della distensione cellulare e comincia a diminuire l’acidità; al termine di questo stadio avviene l’invaiatura con i frutti che da verdi divengono di color giallo-arancione, il viraggio interessa almeno il 50% della superficie del frutto.

Maturazione: all’inizio di questa fase aumentano gli zuccheri solubili grazie all’idrolisi dell’amido, mentre a maturazione piena i frutti hanno raggiunto le dimensioni massime, il colore tipico della cultivar di appartenenza ed il giusto equilibrio tra il contenuto zuccherino e l’acidità; a seconda delle varietà si protrae da inizio giugno a fine luglio.

L’albicocco si adatta a climi miti, temperati e mediamente rigidi, per questo motivo è coltivato in molte aree del mondo. La maggior parte delle cultivar hanno un fabbisogno in freddo (numero di ore necessarie, ad una temperatura generalmente inferiore a 7 °C da ottobre a marzo, per la rimozione della dormienza invernale) che si aggira intorno alle 600 U.F. (unità di freddo); generalmente al sud Italia è di 200-300 U.F. e di 600-800 U.F. al nord. Rispetto al pesco, resiste maggiormente ai freddi invernali, però è più suscettibile alle gelate tardive primaverili: infatti, temperature inferiori allo zero sono pericolose nelle fasi di bottoni rosa, fioritura ed allegagione.

Per questo motivo l’albicocco preferisce le aree collinari, meno soggette a gelate e ristagni di umidità, luminose e ben areate rispetto ai fondovalle ed alle zone umide di pianura; se riparato con fasce frangivento può essere coltivato lungo le coste in quanto resiste alla salsedine. L’albicocco si adatta molto bene ad essere coltivato al sud Italia, dove il rischio di gelate primaverili è minore.

Precipitazioni continue arrecano danno a fioritura, allegagione e, in contemporanea a valori termici miti, favoriscono lo sviluppo delle monilie sui fiori; mentre in fase di maturazione le piogge elevate provocano spaccature dei frutti. Soprattutto al meridione i raggi solari possono provocare decolorazioni e raggrinzimenti sui frutti.

L’albicocco predilige terreni sciolti, di medio impasto, profondi, ben drenati e caldi, adattandosi anche su quelli ghiaiosi; mentre rifugge suoli argillosi e limosi compatti, freddi, soggetti a lunghi ristagni idrici, in quanto diventa sensibile alla gommosi e vegeta in modo stentato, e ricchi di calcaree solubile.


Caratteristiche delle cultivar

Le cultivar di albicocco si possono distinguere tra loro, a seconda dell’habitus vegeto-produttivo, in quattro tipi: tipo A (comprende le varietà Luizet, Paviot e Polonais), tipo B (Canino e Reale d’Imola), tipo C (Precoce d’Imola) e tipo D (Boccuccia e Cafona).

Le piante del tipo A sono caratterizzate da una scarsa vigoria, un elevato fabbisogno in freddo, uno sviluppo acrotono (le ramificazioni apicali prevalgono su quelle basali), un portamento assurgente e da una ramificazione rada e regolare; producono poco, prevalentemente sui brindilli e sui dardi, che sono sottili ed inseriti anche sul legno di più anni.

Le varietà del tipo B sono dotate di una buona vigoria, un fabbisogno in freddo variabile, uno sviluppo acrotono e mesotono (la vegetazione è ben distribuita in tutta la pianta), un portamento aperto e di una ramificazione tendenzialmente irregolare; sono soggette a fenomeni di alternanza di produzione, fruttificano principalmente sui rami misti e sui mazzetti di maggio, che hanno un vigore medio e sono inseriti su branchette di più anni.

Le cultivar del tipo C sono caratterizzate da una buona vigoria, un fabbisogno in freddo medio-alto, uno sviluppo basitono (le ramificazioni basali prevalgono su quelle apicali), un portamento pendulo e da una ramificazione irregolare; danno una produzione variabile, concentrata sui dardi fioriferi, corti e robusti, e su lunghi rami misti.

Il tipo D comprende varietà produttive, molto vigorose, con un basso fabbisogno in freddo, uno sviluppo variabile, un portamento espanso, una ramificazione folta ed irregolare e con la chioma simile a quella del pesco; fruttificano prevalentemente sui numerosi rami anticipati (rami originatisi da gemme pronte durante la ripresa vegetativa stessa) presenti, sui rami misti e sui brindilli, in minor misura sui mazzetti di maggio.

L’albicocco ha un calendario di maturazione di circa due mesi, va sottolineato che i periodi sono variabili in base alla zona di produzione: al sud Italia le albicocche maturano da metà maggio fino alla prima decade di luglio, nelle regioni del centro da inizio giugno a metà luglio, mentre al settentrione il calendario va da metà giugno fino al termine di luglio. La cultivar di riferimento è San Castrese, che al meridione matura a metà giugno, al centro verso fine giugno, mentre al nord Italia nella prima decade di luglio. A differenza del pesco, le varietà di albicocco sono meno adattabili e poco predisposte alla coltivazione lontano dal loro ambiente d’origine: in Spagna le più diffuse sono Bulida e Canino, in Francia sono coltivate maggiormente Polonais, Rouge de Roussillon e Bergeron; in Grecia le più comuni sono Bebeco e Precoce di Thirynthos. Nel nostro Paese si distinguono le cultivar vesuviane, coltivate in soprattutto in Campania, che sono Cafona, Monaco Bello, Canino, San Castrese, Palumella, Boccuccia, Portici, Palese di Giovanniello e Fracasso; le varietà coltivate in Emilia Romagna sono Antonio Errani, Palumella, Portici, Bella d’Imola, Reale d’Imola e Precoce d’Imola; le cultivar più recenti sono Aurora, Ninfa, Tardife di Bordaneil e Pisana. A seconda dell’epoca di maturazione, le varietà si distinguono in precoci (Aurora, Ninfa, Antonio Errani, Precoce d’Imola, Perla), intermedie (Bella d’Imola, Goldrich, Sungiant, Vitillo, San Castrese) e tardive (Portici, Polonais, Bergeron, Noemi, Tardife di Bordaneil, Pisana, Dulcinea).

Relativamente all’utilizzo, le cultivar possono essere idonee al consumo ed alla trasformazione industriale. I frutti con una polpa consistente, arancioni o giallo lucenti, un gusto gradevole ed un nocciolo di ridotte dimensioni sono buoni prodotti sciroppati; le albicocche destinate all’essiccazione devono essere omogenee come forma, pezzatura e colore, maturare uniformemente, contenere molti zuccheri ed avere con un nocciolo piccolo.

Per il consumo fresco si richiedono drupe di grandi dimensioni, gialle-arancioni, con tonalità rosse, polpa fragrante, con buoni requisiti organolettici (le cultivar precoci non sempre soddisfano questa caratteristica), sode in quanto resistono alle manipolazioni ed in grado di mantenere la conservabilità.

I principali requisiti agronomici delle varietà sono: resistenza alle basse temperature invernali, fioritura tardiva in modo da evitare le gelate tardive, produttività costante ed alta, precoce messa a frutto e contemporaneità nella maturazione delle albicocche. L’obbiettivo del miglioramento genetico è l’ottenimento di cultivar adattabili ai diversi ambienti, resistenti a parassiti ed avversità ambientali (monilia, batteriosi, virosi, gelate primaverili) ed idonee alla trasformazione industriale.

Le varietà dell’albicocco si differenziano tra loro grazie alle schede pomologiche, nelle quali vengono descritte la forma e l’uniformità di maturazione del frutto, la pezzatura, la pubescenza (presenza di peli), le colorazioni della buccia (colore di fondo, sovracolore) e della polpa, le caratteristiche della polpa (consistenza, aderenza polpa al nocciolo), le valutazioni organolettiche (aromi, acidità, sapore), le spaccature del frutto e la sensibilità ai parassiti (monilia, afidi, oidio).


Portainnesti

La moltiplicazione dell’albicocco può avvenire per seme e per via clonale nel caso dei portainnesti, mentre le cultivar vengono innestate sul portainnesto prescelto.

I portainnesti a cui si ricorre maggiormente sono l’albicocco franco ed il susino, in minor misura possono essere impiegati pesco e mandorlo.

L’albicocco franco si ottiene dai semi delle varietà utilizzate nelle industrie di trasformazione, per cui i semenzali risultano eterogenei per affinità, vigore e portamento. È affine con le cultivar e ben si adatta ai terreni siccitosi, calcarei, poveri e salini, per questo motivo è molto diffuso nelle regioni meridionali; però rifugge dai terreni pesanti ed umidi. Il franco dà luogo ad alberi vigorosi che forniscono quantità elevate di frutti, ma l’entrata in produzione è tardiva. L’apparato radicale è ben sviluppato, dotato di buon ancoraggio; è resistente ai nematodi, ma molto sensibile ai marciumi radicali, alla verticillosi e al tumore radicale (Agrobacterium tumefaciens).

Il susino è un portainnesto vigoroso e pollonifero, nel nord Italia in passato veniva impiegato il mirabolano da seme che si adatta molto bene a terreni umidi, pesanti e calcarei; però con alcune varietà presenta problemi di disaffinità ed il materiale tende ad essere eterogeneo. Per questi motivi si ricorre ai mirabolani clonali, il più utilizzato è il mirabolano 29C, il quale si adatta a tutti i tipi di terreno e, rispetto al franco, si ha una riduzione del vigore del 20-30% ed una fruttificazione precoce, mantenendo una buona efficienza produttiva; questo clone inoltre ha una scarsa attività pollonifera e tollera il tumore radicale. Altri susini impiegati sono Isthara, Julior e Torinel. Il primo è idoneo in terreni pesanti e calcarei, purchè irrigui, rispetto al mirabolano è meno vigoroso, pur garantendo un buon rinnovo vegetativo ed un discreto sviluppo del tronco; la produzione è abbondante e si ottiene già a partire dal terzo anno, la pezzatura dei frutti è elevata e non è pollonifero. Julior, rispetto all’Isthara, è più vigoroso, ha una produzione inferiore ed un’eccessiva attività pollonifera; mentre Torinel è considerato seminanizzate, per cui meno vigoroso di Isthara, dà luogo a frutti di buona pezzatura ed è dotato di una discreta emissione di polloni.

I portainnesti ottenuti dal pesco prediligono terreni sciolti, fertili, non calcarei, non soggetti a ristagni idrici e possono mostrare disaffinità d’innesto; un portainnesto utilizzato è Montclar, caratterizzato da sviluppo e produzione pari a quelle di Torinel, con una pezzatura inferiore dei frutti, rispetto a Julior entra prima in produzione ed ha una scarsa emissione di polloni.


Impianto

La coltivazione dell’albicocco richiede la scelta di un luogo d’impianto adatto dal punto di vista sia climatico che del suolo. Soprattutto in aree collinari è raccomandato orientare i filari in direzione nord-sud per avere un’illuminazione dell’intera chioma e scegliere appezzamenti esposti a sud, sud-est e sud-ovest. In terreni di pianura, specialmente se tendenti all’argilloso, deve essere garantito un franco di coltivazione di almeno 50-80 cm, assicurando lo smaltimento delle acque tramite delle scoline; mentre nel caso di pendenze superiori al 20% è consigliabile adottare la sistemazione a ritocchino, posizionando i filari e svolgendo le operazioni colturali secondo la linea di massima pendenza. Tuttavia tale sistemazione andrebbe limitata ai soli terreni argillosi, in quanto in suoli sciolti e poco strutturati si possono avere gravi problemi di erosione.

Gli astoni (piante innestate pronte per la messa a dimora) dovrebbero essere alti almeno 80 cm, la distanza tra colletto e punto di innesto dovrebbe essere di 10 cm (almeno 20 cm se il portainnesto è vigoroso) ed il diametro, misurato 10 cm sopra il punto di innesto, pari ad almeno 12 mm. È opportuno che gli astoni siano provvisti di radici non troppo corte e ben distribuite, con rami anticipati ben lignificati in modo da anticipare la messa a frutto. Il materiale vivaistico deve essere uniforme e formato da cultivar e portainnesto, è opportuno ricorrere all’utilizzo di materiale certificato al fine di avere migliori garanzie, sia genetiche che sanitarie.

La scelta del portainnesto è un fattore fondamentale per l’impianto: nel caso di terreni siccitosi ricorrere al franco, mentre su suoli pesanti ed irrigui impiegare il mirabolano 29C oppure portainnesti meno vigorosi, scegliendo cultivar dotate di una buona affinità d’innesto.

La forma di allevamento adottata ed il portainnesto impiegato determinano i sesti d’impianto e la densità di piante ad ettaro; l’investimento, a seconda della vigoria, è generalmente compreso tra 450 e 750 piante ad ettaro.

La scelta delle varietà è molto legata al territorio in quanto molte di esse mal si adattano alla coltivazione in luoghi diversi da quelli di origine; ove possibile, è opportuno scegliere appezzamenti riparati dai forti venti, mentre in pianura è meglio ricorrere a cultivar a fioritura tardiva e scegliere forme di allevamento più sviluppate in altezza, come la palmetta, per limitare i danni da gelate tardive. La maggior parte delle varietà di albicocco sono autofertili, nel caso di cultivar autosterili impiegare impollinatori a fioritura contemporanea; inoltre, sempre per consentire una fecondazione ottimale, ci devono essere almeno 4-5 arnie ad ettaro di api ed altri insetti pronubi.

In precedenza alla preparazione dell’impianto va effettuato un campionamento del terreno per svolgerne l’analisi, che fornisce indicazioni utili per la formulazione della concimazione d’impianto, il tipo di lavorazione da eseguire, sul materiale da utilizzare e sulla eventualità di apportare ammendanti al suolo.

Una volta effettuate tutte queste scelte bisogna svolgere le operazioni precedenti la messa a dimora quali:

-livellamento ed eventuale spietramento del terreno;

-lavorazione a doppio strato tramite ripuntatore che incide il terreno, non ribaltando zolle, ad una profondità di 70-100 cm, seguita da una normale aratura di 30-50 cm in modo da non portare in superficie materiale inerte;

-fertilizzazione d’impianto con letame in dosi di 500-600 q/ha e concimazione con fosforo e potassio con almeno 150-200 kg/ha ( anidride fosforica e ossido di potassio) di entrambi;

-nel caso di terreni soggetti a ristagno idrico, formazione di una rete scolante mediante fossi;

-affinamento del terreno;

-tracciamento dei sesti e picchettatura.

La messa a dimora degli astoni generalmente viene eseguita in novembre in modo tale che possano beneficiare delle piogge autunnali; talvolta al nord Italia si preferisce piantumare a marzo per evitare danni da freddo invernali.

Le buche, larghe e profonde circa 40 cm, vengono realizzate a mano o con trivella azionata da un trattore. Sul fondo si può porre del concime con un dosaggio di 50-100 g per pianta (soprattutto fosforo che stimola l'attività radicale e riduce i rischi di crisi di trapianto) e del terreccio costituito da sabbia fine di fiume, sostanza organica (ad esempio 20% di torba e 30% di letame). Subito dopo la messa a dimora è consigliabile irrigare gli astoni con circa 5 litri di acqua.

In seguito, a seconda della forma d’allevamento, si costruisce l’impalcatura, posando i tutori di ferro per ogni piantina, piantando i pali e tirando i fili.

Nel caso dell’impianto di un frutteto familiare, in base alle caratteristiche del terreno, si utilizzano portainnesti franchi o vigorosi perché, nonostante una tardiva entrata in produzione, garantiscono un ottimo ancoraggio al terreno, un apparato radicale ben sviluppato ed una buona resistenza alla siccità. Rispetto agli impianti fitti le dimensioni della buca sono 60 X 60 cm con una profondità di 70-80 cm; le piantine inoltre necessitano solo del sostegno di un paletto, limitatamente ai primi anni.

Tenere l’interfilare inerbito è importante perchè, oltre a favorire la riduzione dell’erosione (soprattutto relativamente alle sistemazioni a ritocchino), arricchisce il terreno di sostanza organica derivante sia dal rapido e naturale rinnovarsi delle radici delle erbe, sia dal materiale lasciato sul posto dalle operazioni meccaniche di trinciatura, permette lo svolgimento di eventuali pratiche colturali dopo una pioggia, cosa non possibile su un terreno argilloso lavorato.


Forme di allevamento

È necessario adottare forme di allevamento che assecondino il più possibile il modo naturale di vegetare delle piante e favoriscano una buona illuminazione di tutta la chioma, al fine di evitare squilibri vegeto-produttivi. I sistemi di allevamento dell’albicocco sono appiattiti (palmetta libera), adatti alle zone di pianura con elevata fertilità, predisposti per l’uso di carri per la raccolta, e in volume (vaso e varianti), adatti alle varietà con portamento espanso, ai terreni meno fertili e collinari dove è più difficoltoso l’uso di carri-raccolta.

Il vaso classico è una forma, molto impiegata in passato, il cui scheletro è costituito da un tronco sul quale si inseriscono a 0,6-0,8 m d’altezza tre branche principali che hanno un’inclinazione di 45° rispetto al fusto e sono egualmente distanziate tra di loro; viene lasciata libera la parte interna al fine di ottenere un’ottima intercettazione della luce. Le branche primarie sono rivestite esternamente da sottobranche, inclinate di 30° rispetto alle principali, che portano le formazioni fruttifere; la produzione non si ottiene prima del 4-5° anno. La distribuzione della vegetazione su più assi consente una buona illuminazione ed un elevato volume della chioma che facilita il mantenimento di equilibrio tra attività vegetativa e riproduttiva, ottenendo frutti di ottima qualità. Le piante sono alte 5-7 m e l’ottenimento della forma richiede sostegni e legature delle branche principali per dare la giusta inclinazione; i sesti d’impianto sono 7 X 7 o 7 X 6 m, con una densità di 200 piante ad ettaro.

Una variante del vaso classico è il vasetto basso, costituito da un fusto di 50-60 cm, sul quale si inseriscono, con un’inclinazione di 60-70° rispetto al fusto, le branche primarie, rivestite esternamente da vegetazione secondaria (non da sottobranche) la cui lunghezza diminuisce dalla base fino alla cima in modo che si distribuiscano nello spazio per ricevere uniformemente la luce; su queste si sviluppano le branchette terziarie portanti le formazioni fruttifere. Questa forma è molto vicino alla forma naturale di molte varietà di albicocco e si ottiene con pochi interventi; si adatta bene anche alla raccolta meccanica, prevedendo, in tal caso, una impalcatura leggermente più alta (70-90 cm). I sesti d’impianto sono 5 X 5 o 5 X 4 m, con un investimento compreso tra 400 e 500 piante/ha.

Un’altra variante del vaso classico è il vasetto ritardato, costituto da 3-5 branche principali che vengono lasciate crescere liberamente durante i primi tre anni insieme all’asse centrale durante i quali la pianta prende la sua forma piramidale naturale, l’anno successivo l’astone centrale viene eliminato ottenendo una forma definitiva a vaso in ritardo. L’altezza della pianta è di 3-4 m, mentre la produzione si ottiene a partire dal terzo anno; stessa cosa per il vasetto basso. I sesti d’impianto sulla fila variano tra i 3 e 3,5 m e tra le file sono di 5,5 m, con una densità di 500-600 piante/ha; entrambe le varianti sono sistemi idonei per formare un frutteto familiare.

La palmetta libera è costituita da un fusto sul quale, a 60 cm dal suolo, si inserisce il primo palco di due branche, orientate lungo il filare, esse hanno un angolo di inserzione stretto, rispettando l’inclinazione naturale. In tutto i palchi sono 3-4, il secondo è inserito a 100 cm dal primo, la distanza tende a diminuire tra i palchi successivi, per cui ci sono 6-10 branche inserite irregolarmente sul fusto e di lunghezza variabile; la pianta è alta 4-4,5 m. Il sesto d’impianto sulla fila varia tra 3-4 m e tra le file è di 4,5-5 m, con una densità compresa tra 500 e 740 piante/ha; è la forma migliore in aree soggette a gelate primaverili tardive, come la pianura padana e la Romagna, in quanto la parte a rischio della pianta è rappresentata dai primi 2 m, mentre la parte superiore è meno soggetta ed in grado di portare i frutti a maturazione.

L’albicocco può essere realizzato anche in coltura protetta utilizzando coperture di film plastici per migliorare la qualità dei frutti, anticiparne la maturazione e, quindi la raccolta. La forma più impiegata per la coltura protetta è l’ipsilon trasversale è costituito da due branche inclinate a V ed in direzione ortogonale rispetto al filare, l’angolo d’inclinazione rispetto alla verticale è di 40-45°; sulla struttura principale si inseriscono le branchette portanti le formazioni fruttifere. I sesti d’impianto sulla fila sono da 1 a 1,5 m e tra le file si aggirano intorno ai 5-6 m, con una densità compresa tra 1000 e 2000 piante/ha. Con questo sistema è possibile mantenere un sensibile incremento della produzione mantenendo un elevato standard qualitativo, però si riscontrano maggiori costi delle operazioni colturali.


Operazioni di potatura

La potatura nell’albicocco comincia quando le piante sono ancora giovani (potatura di allevamento); una volta formata la parte aerea, la pianta è adulta ed ha raggiunto un equilibrio tra vegetazione (produzione di legno) e riproduzione (produzione di fiori e frutti) che deve essere mantenuto con la potatura di produzione.

A partire dalla messa a dimora degli astoni fino al completamento della forma desiderata (3-4 anni) si esegue la potatura di allevamento, avente lo scopo di assicurare il più rapido sviluppo della struttura scheletrica dell’albicocco in rapporto al sistema prescelto, di favorire una miglior illuminazione delle foglie e di ottenere la più rapida messa a frutto delle giovani piante; non si effettuano solo tagli, ma anche legature (vaso classico) e curvature che favoriscono lo sviluppo di germogli mediani. Durante i primi anni di vita le piantine necessitano di una massima superficie fogliare per ricostituire le riserve di carboidrati, di raccorciamenti per favorire la formazione della parte aerea (ad esempio nel caso dell’ipsilon trasversale e del vasetto basso) e gli eventuali frutti devono essere diradati in quanto sottraggono sostanze nutritive all’attività vegetativa. Nelle forme di allevamento in cui gli astoni sono provvisti di rami laterali si guadagna un anno relativamente alla formazione dello scheletro della pianta. La potatura di produzione nell’albicocco è meno energica rispetto al pesco; vengono eseguiti tagli rivolti a mantenere un buon equilibrio fra produzione e vegetazione, riducendo così l’alternanza, mantenendo costante la qualità dei frutti e lo spazio assegnato al momento dell’impianto. Tanto più forte è la spinta vegetativa tanto più leggera deve essere la potatura; non bisogna lasciare invecchiare troppo le branche produttive altrimenti si creano i presupposti per una forte alternanza di produzione. È importante salvaguardare e rinnovare con la potatura le formazioni fruttifere (dardi, brindilli, rami misti e rami anticipati), dando la prevalenza agli uni o agli altri a seconda del modo di fruttificare della varietà. Una volta che la pianta comincia invecchiare vanno asportate le parti vegetative vecchie, esaurite ed ombreggiate; si accorceranno anche le formazioni fruttifere troppo piene di gemme a frutto e si alleggeriranno sempre le cime di tutte le branche lasciando pochi e deboli germogli per favorire il rivestimento della parte bassa e la penetrazione della luce.

La potatura di produzione si effettua durante l’estate, è sconsigliabile effettuare operazioni cesorie consistenti in modo da evitare l’ingresso di eventuali parassiti. È possibile l’applicazione di potatrici meccaniche a dischi rotanti per abbassare l’altezza delle piante effettuando gli interventi in estate, quando la vegetazione è forte e si desidera favorire il rivestimento della parte basale; si esegue in inverno qualora si voglia favorire il riscoppio primaverile della parte apicale delle piante. Una pratica necessaria per ottenere una produzione costante tutti gli anni consiste nel diradare i frutti; è fondamentale mantenere un giusto rapporto tra foglie e frutti, in genere 30-50 foglie per frutto, al fine di ottenere drupe di migliore pezzatura.

Va eseguito manualmente prima dell’indurimento del nocciolo, prima sulle cultivar precoci ed in seguito su quelle tardive; mentre può essere trascurato per i frutti destinati all’industria.


Concimazione ed irrigazione

Un’adeguata disponibilità di elementi nutritivi consente di ottenere una produzione elevata, costante negli anni e di buona qualità, quindi, la concimazione deve mantenere un adeguato livello di fertilità del terreno, in modo da permettere un'equilibrata nutrizione delle piante, senza causare effetti negativi sull'ambiente.

Tramite la concimazione sono apportati al suolo i principali elementi minerali, fondamentali per lo sviluppo e la produzione delle piante, quali l’azoto, il fosforo ed il potassio; di questi bisogna reintegrare le asportazioni annuali, rispettivamente 50-60 kg/ha, 20-30 kg/ha e 80-100 kg/ha (riferite ad una produzione di 200 q/ha).

L’azoto è l’elemento più importante in quanto favorisce l’ingrossamento dei frutti, ma deve essere somministrato con attenzione per evitare di predisporre i frutti alle spaccature conseguenti alle piogge. La carenza di azoto induce scarsa allegagione, cascola e scarso accrescimento dei frutti; mentre gli eccessi possono causare inconvenienti come la diminuzione del colore dei frutti ed un ritardo nella maturazione. Tali effetti sono compensati da un’adeguata concimazione potassica.

Nella fase di allevamento la concimazione deve favorire lo sviluppo delle piante per completare rapidamente la struttura scheletrica, senza però stimolare troppo l’attività dei germogli perché ciò ridurrebbe la lignificazione degli stessi e ritarderebbe l’entrata in fruttificazione degli alberi.

In questa fase va dato solo l’azoto, somministrandolo alla dose di 50-100 g per pianta in 2-3 riprese durante il periodo aprile-giugno, localizzandolo intorno alla pianta a breve distanza dal fusto evitando però il diretto contatto con esso al fine di non provocare ustioni.

In fase di produzione la somministrazione di azoto va frazionata in due interventi: a fine estate, dopo la raccolta, per favorire l’accumulo delle sostanze di riserva che verranno utilizzate per sostenere dalla successiva ripresa vegetativa fino ad allegagione avvenuta; e dopo l’allegagione perchè la pianta assorbe ed utilizza efficacemente l’azoto presente nel terreno solo nel periodo di formazione e maturazione dei frutti. Sono da evitare apporti azotati prima della fioritura, in quanto l’albicocco ha una fogliazione tardiva, e poco prima della raccolta.

Il fosforo stimola la fioritura e l’attività delle radici, può scarseggiare in suoli con calcaree attivo superiore al 5% in quanto tende ad essere insolubilizzato, in questi casi si interviene annualmente con dosaggi di poco superiori alle asportazioni in autunno (insieme al potassio).

Il potassio è necessario nella fase produttiva, influisce positivamente su alcune caratteristiche qualitative dei frutti come la colorazione, l’acidità, la sintesi ed il contenuto degli zuccheri; inoltre migliora la vitalità del polline e la resistenza della pianta al freddo. I terreni argillosi in genere sono ben riforniti di questo elemento, la ricchezza di potassio aumenta la disponibilità di ferro, per cui attenua i fenomeni di clorosi. Nel caso di suoli sciolti la concimazione fosfo-potassica va effettuata a fine febbraio per evitare fenomeni di lisciviazione a carico del potassio.

Mediante la concimazione fogliare si possono integrare i microelementi ai nutrienti principali che hanno un’azione fertilizzante pronta, essendo disciolti in acqua ed assorbiti dalle foglie. Questa modalità di somministrazione, integrata alla normale fertilizzazione eseguita al terreno, consente l’apporto di calcio, che garantisce una miglior resistenza meccanica dei tessuti vegetali, e di microelementi come ferro e magnesio che, se carenti, provocano una clorosi fogliare.

Il fabbisogno idrico dell’albicocco dal germogliamento alla caduta delle foglie è di 2000-3000 metri cubi, pari a 200-300 mm di pioggia, per cui non è una specie particolarmente esigente in acqua; però va considerato che l’irrigazione porta vantaggi produttivi, accelera la formazione della struttura della pianta e quindi l’entrata in piena produzione.

Tenuto conto delle eventuali precipitazioni, l’irrigazione deve essere frequente e regolare evitando abbondanti quantità in prossimità della raccolta per non peggiorare le caratteristiche qualitative dei frutti e la loro conservabilità. L’irrigazione è fondamentale durante l’accrescimento del frutto e la differenziazione delle gemme; carenze idriche durante lo sviluppo del frutto danno luogo a drupe di ridotte dimensione, poco colorate e saporite. Gli interventi in post-raccolta favoriscono la regolare formazione delle gemme a fiore e riducono l’alternanza.

I sistemi d’irrigazione più idonei nell’albicocco sono quelli a goccia o a spruzzo, entrambi a microportata.

L’irrigazione a goccia offre molti vantaggi per l’elevata efficienza di uso dell’acqua (il 90% dell’acqua somministrata è utilizzata dalle piante), per la non bagnatura delle foglie degli alberi, che potrebbe favorire l’attacco di alcuni patogeni, per la minore o assente percolazione e quindi per il ridotto dilavamento degli elementi nutritivi e per il contenimento dello sviluppo di infestanti venendo bagnate solo piccole porzioni di terreno. Si può ricorrere inoltre alla fertirrigazione per rigenerare le caratteristiche nutritive del terreno esplorato dall’apparato radicale della pianta in una zona ristretta e limitata con conseguente esaurimento della capacità nutrizionale.

L’irrigazione a spruzzo prevede la stessa tecnica dell’impianto a goccia con ali spruzzanti in questo caso posate sui tiranti di sostegno dei filari; nel caso dell’albicocco gli spruzzatori sono sottochioma perché, bagnando la pianta, si possono creare condizioni favorevoli allo sviluppo di parassiti come la monilia che causa marciumi sui frutti.


Raccolta

L’epoca di raccolta rappresenta un momento fondamentale della filiera produttiva, perché caratterizza e condiziona la qualità globale e la serbevolezza del prodotto.

La definizione dell’epoca di raccolta, tenendo conto della scalarità di maturazione dei frutti, della forte variabilità delle cultivar e della diversa reazione ai fattori pedoclimatici, è abbastanza difficile, tuttavia alcuni indici si sono dimostrati di facile applicazione e di sufficiente rispondenza fisiologica. Gli indici di maturazione più utilizzati nell’albicocco sono il colore della buccia, che dovrebbe corrispondere allo stadio virante dal verde al giallo, la durezza della polpa, misurata con strumenti chiamati “penetrometri”, il residuo secco rifrattometrico (RSR, esprime il contenuto zuccherino), determinato con un rifrattometro e l’acidità. Per meglio stabilire l’epoca ottimale di raccolta è buona norma non riferirsi ad un solo indice di maturazione, ma considerarne diversi contemporaneamente; alcuni di essi possono poi essere combinati tra di loro per ottenere indici composti come ad esempio il rapporto RSR/acidità.

La raccolta avviene in 2-3 volte a causa della scalarità di maturazione dei frutti; può essere manuale oppure integrata, cioè eseguita mediante l’ausilio di carri raccolta su cui si dispongono parte degli operatori, soprattutto con forme d’allevamento dotate di un’alta parete produttiva, in primis la palmetta. In entrambi i casi, i frutti raccolti vengono posti in cassette poste su bancale (pallet) o, meglio, in cassoni palettizzati sollevabili da un elevatore a forche montato sulla trattrice; un bravo raccoglitore ha una resa media oraria di frutti raccolti che mediamente si aggira intorno agli 80 kg/h. Il frutto sopporta la frigoconservazione per massimo due settimane, se prolungata le albicocche possono disfarsi internamente; una volta effettuata la raccolta è buona prassi intervenire con la prerefrigerazione ad acqua o ad aria.


Albicocco - Prunus armeniaca: I principali parassiti ed il loro controllo

I principali parassiti dell’albicocco, con i danni da essi provocati e le eventuali modalità di contenimento, si possono sintetizzare come segue.

Monilie (Monilia laxa e Monilia fructigena): sono funghi che si instaurano sui rametti e sui frutti; favoriti da condizioni di elevata umidità e piogge. Durante la fioritura il fungo penetra attraverso i fiori che mummificano e sono ricoperti dal micelio grigio del fungo, la parte terminale dei rametti collassa improvvisamente e sul legno si formano piccole tacche depresse che evolvono in cancri, con emissione di gomma. I frutti sono colpiti soprattutto dall’inizio della maturazione, inizialmente si manifesta un rammollimento di una parte del frutto, in seguito si forma uno strato di muffa grigiastra che può essere zonato o sotto forma di cerchi concentrici che causano marciumi e mummificazioni; i frutti colpiti ancora attaccati alla pianta sono un alto potenziale d’inoculo del patogeno per l’anno successivo. Per limitare la presenza del fungo mediante la potatura vanno eliminati i rametti colpiti, i frutti marci e la chioma deve essere ben arieggiata. In caso di condizioni favorevoli allo sviluppo del fungo eseguire trattamenti preventivi con prodotti sistemici tra lo stadio di bottoni rosa e l’allegagione. In prossimità della maturazione vanno effettuati trattamenti da 5 a 3 settimane fino a 7-10 giorni prima della raccolta, con distanza di 15 giorni tra un intervento e l’altro.

Corineo (Coryneum beijerinckii): è un fungo che determina alterazioni su foglie, rami e frutti; favorito da lesioni presenti sulla pianta, condizioni di bagnatura degli organi, elevata umidità e temperature di almeno 5-6 °C, mentre intorno a 15-16 °C sono ottimali (il fungo si blocca con temperature superiori a 25-26 °C). Sugli organi colpiti il fungo si manifesta con delle tacche depresse di color rosso-brunastro con alone giallastro, queste possono confluire tra loro evolvendo in piccole lesioni longitudinali necrotiche che provocano disseccamento dei giovani rametti ed un indebolimento delle branche, le quali risultano più sensibili ad altri parassiti del legno. Per contrastare il fungo, trattare con prodotti rameici a defogliazione completa, perché in genere la lignificazione dei germogli è già avvenuta, il secondo intervento si effettua con altri fungicidi di copertura prima dell’apertura delle gemme. Una buona pratica agronomica consiste nell’eliminazione dei rami colpiti con la potatura secca, o invernale.

Oidio o mal bianco (Podosphaera tridactyla): si tratta di un fungo che colpisce le foglie, i germogli e, raramente, i frutti; favorito da temperature comprese tra 10 e 30 °C, umidità elevata ed assenza di bagnatura. I sintomi si manifestano in tarda primavera su foglie e germogli delle aree clorotiche ricoperte da un micelio biancastro, queste in seguito necrotizzano; la stessa cosa vale per le macchie presenti sui frutti. Durante la fase di scamiciatura, alla comparsa dei primi sintomi, si interviene integrando prodotti di copertura e sistemici che esercitano un’azione collaterale nei confronti della monilia.

Sharka o vaiolatura ad anello: si tratta di un virus, trasmesso mediante le punture degli afidi, che interessa le foglie ed i frutti. Nel caso dell’albicocco sulle foglie si manifestano piccole decolorazioni clorotiche ad anello che scompaiono al sopraggiungere dell’estate, mentre sui frutti si formano zonature anulari chiare, in fase di maturazione le drupe si deformano e la polpa assume una consistenza stopposa con successiva cascola; sul nocciolo si originano zonature anulari giallastre molto evidenti. Questa virosi si contrasta in primis ricorrendo a materiale di moltiplicazione certificato, è buona prassi eliminare le piante infette e combattere gli insetti che trasmettono il virus; inoltre, se possibile, impiegare cultivar resistenti.

Mosca della frutta (Ceratitis capitata): si tratta di un insetto che colpisce i frutti; in zone favorevoli, come l’Italia centro-meridionale, compie 6-7 generazioni l’anno, mentre ne fa 3-4 al nord Italia. I danni sui frutti sono provocati dalle punture che determinano la comparsa di aree mollicce, in seguito soggette a marcescenza e dall’attività delle larve che si nutrono in gruppo della polpa provocandone il disfacimento favorendo attacchi di monilia; i frutti colpiti comunque sono soggetti a cascola. Il monitoraggio prevede il posizionamento di trappole cromotropiche giallastre, trappole dotate di attrattivi chimici ed esche alimentari. Una volta catturati i primi adulti si interviene con insetticidi a base di esteri fosforici; in alternativa ai mezzi chimici è praticabile la tecnica dell’autocidio, che consiste nell’immissione nell’ambiente di grandi quantità di insetti sterilizzati in laboratorio al fine di sostituire i fitofagi fecondi in modo da ridurre il potenziale riproduttivo della specie.

Cidia (Cydia molesta): è un insetto che attacca i germogli ed i frutti; compie 4-5 generazioni l’anno. Le larve della 1^ generazione scavano gallerie all’interno dei germogli causandone l’avvizzimento e la successiva perdita; le generazioni seguenti si insediano sui frutti entrando dal peduncolo o da altri punti di contatto come rami, foglie ed un eventuale frutto vicino. Le larve scavano gallerie fino a raggiungere il nocciolo, i frutti colpiti emettono un grumo di gomma, inoltre sono soggetti a cascola ed a marciumi provocati dalle monilie.

Anarsia (Anarsia lineatella): si tratta di un insetto che colpisce i fiori, i frutti ed i germogli; compie tre generazioni l’anno. Ad inizio primavera le larvette entrano nei fiori distruggendoli, dopo l’antesi danneggiano i germogli; in un secondo momento attaccano i frutti causando danni simili a quelli prodotti dalla cidia. Cidia ed anarsia vengono combattute secondo i criteri della lotta integrata, effettuando monitoraggi con trappole a feromoni sessuali per controllare la presenza degli adulti e campionamenti sui germogli al fine di individuare i danni provocati dalle larve. Il monitoraggio prevede il posizionamento di 2-3 trappole ad ettaro, a partire dalla prima decade di aprile per la cidia, mentre verso la fine dello stesso mese nel caso di anarsia; in entrambi i casi la soglia d’intervento corrisponde alla cattura di 10 adulti per trappola in due settimane, mentre si effettua il trattamento chimico contro le larve quando i germogli infestati superano il 10%. In alternativa agli insetticidi contro le tignole può essere impiegato il batterio Bacillus thuringiensis ssp. Kurstaki; altrimenti è possibile ricorrere al metodo della “confusione”, che si basa sull’impiego di erogatori di feromoni aventi lo scopo di ridurre gli accoppiamenti tra maschi e femmine adulti.

Cocciniglia di San Josè (Comstockaspis perniciosa): è un insetto che si insedia su parti legnose, foglie e frutti; compie tre generazioni all’anno. Sulle parti legnose si notano alterazioni cromatiche rossastre che conducono a progressivi deperimenti e disseccamenti dei rami. Sui frutti si manifestano tante macchie rossastre, al cui centro c’è un puntino grigio, sparse su tutta la superficie o concentrate in alcuni punti; queste chiazze determinano il deprezzamento e l’esportazione verso l’Europa, dove la presenza del fitofago non è ancora esagerata. Gli interventi chimici sono obbligatori perché questo insetto può compromettere la commercializzazione della frutta colpita anche con pochi puntini. Il primo trattamento si esegue alla rottura delle gemme con i polisolfuri, distribuiti solo in questa fase perché sono tossici per la vegetazione, se già presente; in corrispondenza dell’uscita degli stadi giovanili di ogni generazione intervenire tempestivamente con gli esteri fosforici. Un parziale controllo di questo fitofago può essere esercitato dai nemici naturali, ad esempio le coccinelle.

Cocciniglia bianca (Diaspis pentagona): è un insetto che colpisce gli organi legnosi e, talvolta, i frutti; compie 2-3 generazioni all’anno. Il fitofago si nutre mediante delle punture sulle parti legnose, provocandone asfissia nel caso di una sua massiccia presenza; qualora attaccassero i frutti su di essi si manifesta un alone rossastro, però il danno è commerciale perché le albicocche non possono essere esportate. Il monitoraggio si esegue a metà aprile ponendo 1-2 trappole di feromoni sessuali ad ettaro, al momento di massima presenza degli stadi giovanili della prima generazione si interviene chimicamente. Un metodo adottato per il controllo di questi insetti è quello della cattura massale, che consiste nel mettere delle trappole innescate con feromoni sessuali (dieci ad ettaro) mediante le quali vengono catturati i maschi che non fecondano le femmine. In natura sono presenti alcuni nemici naturali di questo fitofago, tra cui le coccinelle.

Afide verde (Myzus persicae): si tratta di un insetto che colpisce prevalentemente foglie e germogli, ma anche i fiori ed i frutticini; compie 3-4 generazioni l’anno fino ad inizio estate. Sulle foglie e sui germogli si manifestano marcati accartocciamenti seguiti da un arresto di sviluppo e necrosi degli stessi; attacchi in fioritura causano aborti fiorali e colatura dei fiori, i frutticini sono soggetti a deformazioni. Inoltre emettono abbondanti secrezioni zuccherine (melata) che provocano asfissia sulla vegetazione e favoriscono l’insorgenza di alcuni funghi (fumaggine) i quali riducono l’efficienza fotosintetica.

Afide farinoso (Hyalopterus pruni): è un insetto che attacca le foglie ed i germogli; compie 4-5 generazioni l’anno. Vivono in gruppo sulla pagina inferiore della foglia, assumendo un aspetto polverulento, il danno è dato dall’emissione di melata. I campionamenti vanno fatti a partire dalla fase di punte verdi, la presenza di entrambi gli afidi si valuta contando 100 gemme, o bottoni fiorali (germogli in post-fioritura), e si interviene al superamento delle soglie: 3% di bottoni rosa colpiti in pre-fioritura e 10% di germogli infestati in post-fioritura. Gli interventi possono essere effettuati con insetticidi a basso grado di tossicità oppure tramite i funghi antagonisti Entomophtora fresenii e Verticillum lecanii; inoltre in natura vi sono numerosi nemici naturali, tra cui le coccinelle.



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