Pesco - Prunus persica

Generalità

Il pesco è originario della Cina, dove tutt’ora lo si può ancora rinvenire allo stato spontaneo. Alessandro Magno, in seguito alle sue spedizioni contro i Persiani, portò il pesco in Grecia, mentre i Romani ne diffusero la coltivazione in tutta Europa. Il pesco appartiene alla famiglia delle Rosacee, alla sottofamiglia delle Pruniodee, o Drupacee, ed al genere Persica; le specie più importanti sono Persica vulgaris (il pesco comune, detto anche Prunus persica), Persica laevis (nettarine o pesche-noci), Persica davidiana (pesco cinese, resiste al freddo), Persica platycarpa (il frutto ha una forma tendenzialmente apppiattita) e Persica vulgaris sinensis (pesco ornamentale da fiore).

A livello mondiale i maggiori produttori sono gli Stati Uniti, seguiti dall'Italia, Spagna, Grecia, Cina, Francia e Argentina.

In Italia le regioni maggiori produttrici sono l'Emilia-Romagna (circa il 30% della produzione), la Campania, il Veneto, il Lazio e il Piemonte. I primi pescheti specializzati nella nostra nazione risalgono alla fine dell'800, sono stati realizzati in Romagna e nel veronese. Dal secondo dopoguerra fino ad oggi la peschicoltura italiana ha subito un notevole incremento di superficie e di produzione; la diffusione delle nettarine, avvenuta negli anni 80, dall’America, ha permesso l’amplificazione e la differenziazione dei consumi.

Fiori di Pesco

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Caratteristiche botaniche

fiore pescoIl pesco è un albero di modeste dimensioni, se lasciato crescere liberamente raggiunge un’altezza di 6 m; è una specie caducifoglia che entra in riposo vegetativo durante l’inverno.

Lo sviluppo è acrotono (le ramificazioni apicali prevalgono su quelle basali), mentre l’habitus di crescita può essere standard (tendenzialmente espanso), seminano, semicompatto, assurgente, colonnare e piangente (con rami rivolti verso il suolo).

Le radici sono superficiali ed espanse, il tronco è più o meno contorto ed i rami di un anno sono verdognoli, rossastri nella parte esposta al sole.

Le gemme possono essere a legno e a fiore: le prime hanno una forma conica mentre le seconde sono tondeggianti e, generalmente, localizzate su rami di un anno; a differenza delle Pomacee, nel pesco e nelle altre Drupacee non sono mai miste. Le gemme si inseriscono sul nodo in maniera isolata o riunite in gruppi: spesso si presentano nel seguente modo: una gemma a legno centrale e due a fiore laterali, oppure due gemme di cui una vegetativa e l’altra riproduttiva.

Le formazioni fruttifere, a seconda della vigoria e della distribuzione delle gemme a fiore lungo il loro asse, si distinguono in tre categorie: il ramo misto è mediamente vigoroso e provvisto di gemme a fiore ed a legno (in base alla cultivar le gemme a fiore possono essere distribuite lungo tutto il ramo, nella parte basale o in quella terminale), su di esso possono esserci anche gemme pronte che danno origine a germogli durante la ripresa vegetativa stessa (sono detti rami anticipati), mentre le gemme a legno si sono formate nell’annata precedente la ripresa vegetativa; il brindillo (poco comune nel pesco) è un ramo esile dal diametro approssimativo di una matita, dalla lunghezza di una decina di centimetri ed è provvisto prevalentemente di gemme a fiore, mentre quella terminale lungo l’asse è a legno; il dardo fiorifero, o mazzetto di maggio, è un rametto lungo pochi cm con una corona di gemme a fiore e quella centrale a legno.

Le foglie sono alterne, lunghe, strette, lanceolate, di colore verde sulla pagina superiore e grigio su quella inferiore che si presenta liscia, il margine è seghettato; il picciolo porta alla base delle ghiandole, di forma globosa o reniforme, che possono conferire caratteri agronomici come resistenza alla siccità e la sensibilità all’oidio.

I fiori sono ermafroditi, solitari o riuniti in gruppo; in base ai petali che sono 5, si distinguono in rosacei, con petali aperti, grandi e di color rosa chiaro ed in campanulacei, con petali piccoli tendenzialmente chiusi e di color rosa intenso. Nel caso in cui l’interno del calice dei fiori è chiaro la polpa del frutto sarà bianca, se invece è arancio intenso la polpa sarà gialla.

Il pesco è una pianta autofertile, quindi, a differenza di altre specie, non necessita di varietà impollinatrici; l’impollinazione è entomofila, operata dalle api e da altri insetti pronubi.

Il frutto è una drupa rotonda, separata da un solco avente una profondità variabile chiamato linea di sutura; il frutto possiede una cavità peduncolare, nella parte opposta può esserci una sporgenza denominata umbone. La buccia, o epicarpo, è sottile, membranosa, liscia nelle nettarine, pelosa nelle pesche e nelle percoche; la polpa, o mesocarpo, è carnosa, di colore giallo o bianco, di consistenza variabile secondo le cultivar e può aderire o meno al nocciolo; l’endocarpo risulta sclerificato, cioè legnoso ed è costituito da uno o più noccioli di solito con un solo seme.


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Fenologia, clima e terreno

pescoDi seguito vengono descritte le fasi fenologiche più importanti del pesco.

Rigonfiamento gemme: le gemme si rigonfiano, è il primo segnale della ripresa vegetativa che avviene a fine febbraio-inizio marzo.

Bottoni rosa: fase prima della fioritura in cui le gemme destinate a dare i fiori si presentano molto ingrossate con l’apice di colore rosa, successivamente i peduncoli dei bottoni fiorali si allungano, i sepali (simili a piccole foglie che stanno al di sotto dei petali, costituiscono il calice del fiore) si separano e lasciano intravedere i petali.

Fioritura: avviene prima della fogliazione nella seconda metà di marzo e dura 8-10 giorni; i bottoni fiorali sono completamente aperti, rendendo visibili gli organi riproduttivi. Il polline è autofertile e feconda l’ovario mediante un’impollinazione entomofila, operata da insetti pronubi. Una volta verificatasi questa fase i petali cadono naturalmente, il calice invece rimane ancora attaccato.

Allegagione: è lo stadio in cui il fiore viene fecondato diventando un frutticino che, una volta caduto il calice ormai secco, si evidenzia bene (scamiciatura).

Frutto noce: dopo l’allegagione i frutticini cominciano ad ingrossarsi per effetto di un’elevata attività di divisione cellulare, ad un certo punto il frutto mostra una stasi di accrescimento durante la quale avviene l’indurimento del nocciolo, col seme che assume un aspetto definitivo; questo stadio si verifica 50-60 giorni dopo la fioritura.

Accrescimento frutto: il seme perde acqua ed accumula sostanze zuccherine che sono poi traslocate al frutto, esso riprende ad ingrossarsi per effetto della distensione cellulare e comincia a diminuire l’acidità.

Maturazione: all’inizio di questa fase aumentano gli zuccheri solubili grazie all’idrolisi dell’amido, mentre a maturazione piena i frutti hanno raggiunto le dimensioni massime, il colore tipico della cultivar di appartenenza ed il giusto equilibrio tra il contenuto zuccherino e l’acidità; a seconda delle varietà si protrae da inizio giugno a settembre.

Il pesco si adatta a climi miti, subtropicali (con riposo invernale limitato) e mediamente rigidi, per questo motivo è coltivato in molte aree del mondo; essendo molto versatile ha un fabbisogno in freddo (numero di ore necessarie, ad una temperatura generalmente inferiore a 7 °C da ottobre a marzo, per la rimozione della dormienza invernale) variabile: 300-600 U.F. (unità di freddo) nelle aree meridionali e subtropicali, 1000-1200 U.F. nelle zone temperate come il Nord Italia. Il pesco non tollera i forti freddi invernali, infatti con temperature al di sotto di – 15 °C può risentirne negativamente; è molto suscettibile alle gelate tardive primaverili, specialmente le cultivar a fioritura precoce nelle zone di pianura e di fondovalle: temperature inferiori allo zero sono pericolose nelle fasi di bottoni rosa, fioritura ed allegagione.

Il pesco predilige terreni sciolti e profondi, vegetando bene anche su suoli sabbiosi, se irrigati e concimati; mentre rifugge terreni argillosi e limosi compatti, freddi, soggetti a lunghi ristagni idrici e ricchi di calcaree solubile (soggetto a fenomeni di clorosi).


Caratteristiche delle cultivar

pesca red haven Le varietà di pesco sono più di 6000 e si classificano a seconda di diversi parametri:

-epoca di fioritura: le cultivar che fioriscono tardivamente sono meno sensibili ai danni provocati dalle gelate tardive primaverili;

-epoca di maturazione: le varietà precocissime maturano a giugno, quelle precoci nella prima metà di luglio, le cultivar a media maturazione dalla seconda metà di luglio al 10 agosto e quelle tardive giungono a maturazione dopo prima decade di agosto;

-utilizzazione del frutto: le pesche comuni e le nettarine, o pesche-noci, sono destinate al consumo fresco, mentre le percoche hanno un utilizzo industriale (pesche sciroppate, marmellate);

-colore e consistenza della polpa: a pasta gialla, con mesocarpo giallo e consistente; a pasta bianca, con polpa di colore bianco o leggermente rosata, generalmente morbida quando matura. Le pesche comuni e le nettarine sono sia a polpa gialla che bianca, mentre le percoche sono esclusivamente a polpa gialla.

L’epoca di maturazione si individua utilizzando delle cultivar di riferimento; nelle pesche comuni è Redhaven, che matura nella seconda metà di luglio, nelle nettarine è Early Sungrand, che al nord Italia si raccoglie il 20 luglio, per le percoche si utilizza Andross, con maturazione intorno al 20 agosto.

Di seguito vengono illustrate, secondo le epoche di maturazione, le principali cultivar di pesco comune, nettarine e percoche.

Le varietà di pesco comune coltivate sono prevalentemente a pasta gialla (90%).

Le cultivar precocissime costituiscono il 23% della produzione nazionale, le più importanti sono Maycrest, Crimson Lady, Springbelle, Springtime, Earlycrest e Iris Rosso (a polpa bianca).

Le varietà precoci coprono la produzione per il 30%, quelle principali sono June Gold, Dixired, Cardinal e Flavorcrest.

Il gruppo più rappresentato (32% rispetto al totale) è quello delle cultivar a media maturazione tra le quali abbiamo Redhaven, Rich Lady, Suncrest, Glohaven, Red Top, Stark Saturn, Alba e Bea (le ultime tre sono a polpa bianca).

Le varietà tardive rappresentano il 15% della produzione, le più coltivate sono Hale J.H., Elberta, Michelini e Fayette.

Per i frutteti familiari sono indicate cultivar di taglia ridotta come Calipso, Circe, Valley red, Valley sun e Valley gem. Nel corso degli ultimi anni si sta cercando di ottenere varietà resistenti ai principali parassiti, un esempio è Pillar, dotata di un habitus di crescita colonnare, che mostra una buona tolleranza nei confronti della bolla e dell’oidio.

Le nettarine sono caratterizzate dal frutto liscio, di colore rosso brillante, e dal sapore di moscato; grazie a queste particolarità hanno conquistato le preferenze dei consumatori, infatti rappresentano il 30% della produzione nazionale di pesche, mentre in alcune aree padane addirittura il 50%.

Rispetto al pesco comune si differenziano per alcuni caratteri tra cui: la maggior sensibilità agli insetti ed ai funghi oidio e monilia, possono essere soggette alla rugginosità ed al cracking del frutto, producono sia su rami misti che sui mazzetti di maggio, mentre il pesco comune fruttifica prevalentemente sui rami misti. Le cultivar più diffuse sono le precocissime Armking, Rita Star e Early Silver (a polpa bianca); le precoci Indipendence, Flavor Top e Supercrimson; le intermedie Stark Redgold, Early Sungrand, Spring Red, Maria Dorada, Silver Rome e Caldesi 2000 (le ultime due sono a polpa bianca); le tardive Fairlane, Sweet Lady e Harmonie.

Le percoche possiedono frutti con buccia pelosa, gialla e leggermente colorata di rosso, con polpa non fondente, soda, spicca (si stacca dal nocciolo) ed idonea ad essere sciroppata. L’industria di trasformazione richiede frutti di pezzatura media, di forma regolare con valve simmetriche, con un mesocarpo denso, che resista a lavorazioni industriali e cottura, con nocciolo di ridotte dimensioni e non acuminato. Le percoche, come le nettarine, fruttificano sia sui rami misti che sui mazzetti di maggio; inoltre risultano più sensibili a parassiti come Fusicoccum e Monillia.

Sono coltivate soprattutto negli Stati Uniti, nel nostro paese la Campania da sola copre il 70% della coltivazione delle percoche; le varietà più importanti sono le precoci e medie Jonia, Adriatica, Carson, Romea, Tirrenia e le tardive Andross, Jungerman e Babygold 9.

Le varietà precocissime e precoci possono presentare alcuni difetti tra cui la rottura dell’endocarpo in più punti (split-pit) o la mancata aderenza della polpa (scatolato); queste anomalie deprezzano fortemente il frutto.

Mediante il miglioramento genetico si ha l’obiettivo di ottenere cultivar con colorazione accentuata del frutto, buoni caratteri organolettici e a frutto piatto, polpa consistente (frutto resistente a manipolazioni e trasporti), resistenza ai principali parassiti (bolla, oidio, afide verde, Cydia molesta).

Le varietà del pesco si differenziano tra loro grazie alle schede pomologiche, nelle quali vengono descritte la pezzatura, le colorazioni della buccia (colore di fondo, sovracolore, tonalità, distribuzione) e della polpa, le caratteristiche della polpa (consistenza, tessitura, aderenza polpa al nocciolo), le valutazioni organolettiche (dolcezza, aromi, acidità, sapore), i difetti del frutto (scatolato, spaccature dell’epidermide, rugginosità) e la sensibilità ai parassiti (batteriosi, bolla, corineo, oidio, monilia, afidi).


Propagazione e portainnesti

La moltiplicazione del pesco può avvenire per seme e per micropropagazione (propagazione in vitro, dal punto di vista sanitario il materiale vegetale ottenuto con questa tecnica è ottimo) nel caso dei portainnesti, mentre le cultivar vengono innestate sul portainnesto prescelto.

Il portainnesto franco è ottenuto dai semi del pesco selvatico di origine balcanica (Persica silvestris), che danno luogo a piante piuttosto uniformi, di buon vigore, elevata produttività e buona affinità d’innesto. Il franco è indicato nei suoli preferiti dal pesco, però non sopporta elevate percentuali di calcare attivo manifestando il fenomeno della clorosi ferrica, i ristagni idrici, i freddi invernali ed i marciumi radicali; per cui non si adatta al ristoppio (reimpianto di un nuovo pescheto sullo stesso appezzamento di quello vecchio). Per risolvere l’inconveniente della clorosi sono stati ottenuti, mediante micropropagazione, portainnesti ibridi pesco-mandorlo, più vigorosi del franco e resistenti al ristoppio. Nel caso di terreni con presenza di ristagni idrici si utilizzano i susini che riducono la vigoria rispetto al franco, sono resistenti all’asfissia radicale, al ristoppio ed alla clorosi; per contro, presentano disaffinità d’innesto (per esempio come il portainnesto Damasco 1869 con le nettarine), elevata attitudine pollonifera e vita breve.

Il portainnesto più utilizzato è GF 677, un ibrido pesco-mandorlo che induce maggior vigoria rispetto al franco del 10-15 %, questo determina un’elevata richiesta di potatura; i frutti hanno una qualità inferiore per pezzatura e colore nei primi anni a causa del forte vigore, difetto che scompare una volta raggiunta la piena produzione. Questo portinnesto ha risolto sia il problema del ristoppio che quello della clorosi in quei terreni dove il calcare attivo arriva al 10-12 %, cosa frequente nel meridione italiano ed in altre zone dei Paesi Mediterranei. Ha mostrato ottima affinità con tutte le varietà di pesche e nettarine; si adatta a terreni poco fertili e siccitosi, anche pietrosi, purché permeabili; tollera male quelli argilloso - limosi e quelli soggetti a ristagni idrici. È l’ideale in zone collinari, in quanto il pesco vegeta meno rispetto alla pianura, o per cultivar poco vigorose, mentre è sconsigliato per le varietà precoci perché ne ritarda la maturazione.

Altri portainnesti impiegati sono Isthara (ibrido mirabolano-susino giapponese), Julior (incrocio tra susini europei) e Barrier 1 (ibrido pesco cinese-pesco comune).

Isthara: interessante per la capacità di controllare lo sviluppo vegetativo, col 50% in meno dei pesi di potatura rispetto al GF 677, associata ad una produzione più alta ed una maggiore pezzatura del frutto; l’attività pollonifera è assente.

Julior: di vigore intermedio tra GF 677 e Ishtara, con produzione e pezzatura del frutto superiore al primo; ha un’eccessiva emissione di polloni.

Barrier 1: il vigore è simile a quello di Ishtara, le produzioni e la pezzatura sono molto simili a Julior, la presenza di polloni è sporadica; potrebbe sostituire il GF 677 nei terreni pesanti che presentano problemi di asfissia radicale.


Impianto

campi di pescoLa coltivazione del pesco richiede la scelta di un luogo d’impianto adatto dal punto di vista sia climatico che del suolo. Soprattutto in aree collinari è raccomandato orientare i filari in direzione nord-sud per avere un’illuminazione dell’intera chioma e scegliere appezzamenti esposti a sud, sud-est e sud-ovest. In terreni di pianura, specialmente se tendenti all’argilloso, deve essere garantito un franco di coltivazione di almeno 60-80 cm, assicurando lo smaltimento delle acque tramite delle scoline; mentre nel caso di pendenze superiori al 20% è consigliabile adottare la sistemazione a ritocchino, posizionando i filari e svolgendo le operazioni colturali secondo la linea di massima pendenza. Tuttavia tale sistemazione andrebbe limitata ai soli terreni argillosi, in quanto in suoli sciolti e poco strutturati si possono avere gravi problemi di erosione.

Il materiale vivaistico deve essere formato da cultivar e portainnesto, è opportuno ricorrere all’utilizzo di materiale certificato al fine di avere migliori garanzie, sia genetiche che sanitarie.

Il primo fattore che determina la riuscita del pescheto è la giusta scelta del portinnesto in rapporto al terreno: nel caso di suoli molto calcarei ricorrere a GF677, mentre in condizioni di asfissia radicale è opportuno scegliere un portainnesto susino affine alla cultivar prescelta e, preferibilmente, con bassa attività pollonifera. La forma di allevamento adottata ed il portainnesto impiegato, generalmente GF 677, determinano i sesti d’impianto e la densità di piante ad ettaro; la densità della maggior parte dei pescheti è compresa tra 500 e 1000 piante ad ettaro, mentre in certe situazioni può superare le 2000 piante/ha.

Per quanto riguarda le varietà in zone di pianura o di fondovalle è opportuno scegliere cultivar a fioritura e maturazione tardiva; mentre al meridione gli inverni sono più miti, per cui si ricorre a varietà precoci dotate di basso fabbisogno in freddo.

Rispetto ad altre specie il pesco è autofertile, quindi non necessita di cultivar impollinatrici; l’impollinazione è entomofila e ci devono essere almeno 4-6 arnie ad ettaro di api ed altri insetti pronubi per consentire una fecondazione ottimale.

In precedenza alla preparazione dell’impianto va effettuato un campionamento del terreno per svolgerne l’analisi, che fornisce indicazioni utili per la formulazione della concimazione d’impianto, il tipo di lavorazione da eseguire, sul materiale da utilizzare e sulla eventualità di apportare ammendanti al suolo.

Una volta effettuate tutte queste scelte bisogna svolgere le operazioni precedenti la messa a dimora quali:

-livellamento ed eventuale spietramento del terreno;

-lavorazione a doppio strato tramite ripuntatore che incide il terreno, non ribaltando zolle, ad una profondità di 70-100 cm, seguita da una normale aratura di 30-50 cm in modo da non portare in superficie materiale inerte;

-fertilizzazione d’impianto con letame in dosi di 500-600 q/ha e concimazione con fosforo e potassio con almeno 150-200 kg/ha ( anidride fosforica e ossido di potassio) di entrambi;

-nel caso di terreni soggetti a ristagno idrico, formazione di una rete scolante mediante fossi;

-affinamento del terreno;

-tracciamento dei sesti e picchettatura.

La messa a dimora degli astoni generalmente viene eseguita in novembre in modo tale che possano beneficiare delle piogge autunnali; talvolta al nord Italia si preferisce piantumare a marzo per evitare danni da freddo invernali.

Le buche, larghe e profonde circa 40 cm, vengono realizzate a mano o con trivella azionata da un trattore. Sul fondo si può porre del concime con un dosaggio di 50-100 g per pianta (soprattutto fosforo che stimola l'attività radicale e riduce i rischi di crisi di trapianto) e del terreccio costituito da sabbia fine di fiume, sostanza organica (ad esempio 20% di torba e 30% di letame). Subito dopo la messa a dimora è consigliabile irrigare gli astoni con circa 5 litri di acqua.

In seguito, a seconda della forma d’allevamento, si costruisce l’impalcatura, posando i tutori di ferro per ogni piantina, piantando i pali e tirando i fili.

Nel caso dell’impianto di un frutteto familiare, in base alle caratteristiche del terreno, si utilizzano portainnesti franchi o vigorosi perché, nonostante una tardiva entrata in produzione, garantiscono un ottimo ancoraggio al terreno, un apparato radicale ben sviluppato ed una buona resistenza alla siccità. Rispetto agli impianti fitti le dimensioni della buca sono 60 X 60 cm con una profondità di 70-80 cm; le piantine inoltre necessitano solo del sostegno di un paletto, limitatamente ai primi anni.

Tenere l’interfilare inerbito è importante perchè, oltre a favorire la riduzione dell’erosione (soprattutto relativamente alle sistemazioni a ritocchino), arricchisce il terreno di sostanza organica (minor sensibilità alla clorosi ferrica) derivante sia dal rapido e naturale rinnovarsi delle radici delle erbe, sia dal materiale lasciato sul posto dalle operazioni meccaniche di trinciatura, permette lo svolgimento di eventuali pratiche colturali dopo una pioggia, cosa non possibile su un terreno argilloso lavorato.


Forme di allevamento

portamento pescoÈ necessario adottare forme di allevamento che assecondino il più possibile il modo naturale di vegetare delle piante e favoriscano una buona illuminazione di tutta la chioma, al fine di evitare squilibri vegeto-produttivi. I sistemi di allevamento del pesco possono essere in volume (vaso classico e varianti, fusetto, asse colonnare), a parete verticale (palmetta regolare a branche oblique e varianti) e a pareti inclinate (ipsilon trasversale). L’obiettivo della peschicoltura moderna è quello di anticipare l’entrata in produzione delle piante, limitando quanto più possibile interventi di taglio nei primi anni arrivando alla forma voluta più tardi; ovviamente i pescheti moderni hanno una durata inferiore rispetto a quelli allevati con le forme tradizionali.

Il vaso classico è una forma, molto impiegata in passato, il cui scheletro è costituito da un tronco sul quale si inseriscono a 0,6-0,8 m d’altezza tre branche principali che hanno un’inclinazione di 35-45° rispetto al fusto e sono egualmente distanziate tra di loro; viene lasciata libera la parte interna al fine di ottenere un’ottima intercettazione della luce. Le branche primarie sono rivestite esternamente da sottobranche, inclinate di 30° rispetto alle principali, che portano le formazioni fruttifere; la produzione non si ottiene prima del 4-5° anno. La distribuzione della vegetazione su più assi consente una buona illuminazione ed un elevato volume della chioma che facilita il mantenimento di equilibrio tra attività vegetativa e riproduttiva, ottenendo frutti di ottima qualità. Le piante sono alte 5-6 m e l’ottenimento della forma richiede sostegni e legature delle branche principali per dare la giusta inclinazione; i sesti d’impianto sono 5 X 5 o 6 X 6, con una densità compresa tra 277 e 400 piante ad ettaro.

Una variante del vaso classico è il vaso basso, costituito da un fusto molto ridotto (40 cm dal suolo), sul quale si inseriscono le branche primarie, rivestite esternamente da vegetazione secondaria (non da sottobranche) la cui lunghezza diminuisce dalla base fino alla cima in modo che si distribuiscano nello spazio per ricevere uniformemente la luce; su queste si sviluppano le branchette terziarie portanti le formazioni fruttifere. La massima altezza della pianta è di 2,50-2,70 m; ciò permette l’esecuzione di tutte le operazioni manuali da terra.

Un’altra variante del vaso classico è il vasetto ritardato, costituto da 3-5 branche principali che vengono lasciate crescere liberamente durante i primi tre anni insieme all’asse centrale durante i quali la pianta prende la sua forma piramidale naturale, l’anno successivo l’astone centrale viene eliminato ottenendo una forma definitiva a vaso in ritardo. L’altezza definitiva deve essere tale da consentire l’esecuzione di tutte le operazioni manuali da terra. Il sesti d’impianto su entrambe le varianti è 5 X 3 m, con un investimento di 600-700 piante/ha, la produzione si ottiene a partire dal terzo anno; entrambi i vasi, essendo gestibili da terra, sono sistemi idonei per formare un frutteto familiare, ma sono sconsigliati in zone ad elevato rischio di gelate tardive a causa della bassa taglia delle piante.

Negli Stati Uniti sulle percoche è applicata la forma a vaso californiano, costituito un tronco sul quale si inseriscono tre branche che si biforcano subito diventando sei; rispetto agli altri vasi esse sono molto assurgenti. Questo sistema è idoneo alla raccolta meccanica, il prodotto finale è destinato all’industria.

Il fusetto possiede uno scheletro costituito da un tronco libero da vegetazione nei primi 70-90 cm di altezza. Le branche primarie sono numerose, si inseriscono a spirale, con un portamento più o meno assurgente caratteristico dell’habitus di crescita , lungo l’asse principale, distanti tra loro 30-50 cm ed hanno una lunghezza decrescente andando dalla base alla cima; la pianta assume una forma conica ed ha un’altezza di 3,5 m e comincia a produrre frutti al terzo anno. I sesti d’impianto sulla fila sono da 2 a 2,5 m e tra le file variano da 4 a 4,5 m, con una densità compresa tra 900 e 1250 piante/ha. Il fusetto migliora l’illuminazione della chioma, la qualità del prodotto e la facilità di esecuzione delle pratiche colturali; è una forma idonea nella pianura in quanto risente in minor misura delle gelate tardive grazie all’altezza della pianta.

L’asse colonnare è simile al fusetto, però è caratterizzato da una maggior compattezza in quanto non ci sono vere e proprie branche, ma vegetazione più corta sempre inserita a spirale lungo l’asse principale; per cui i sesti d’impianto sulla fila diminuiscono fino a 1,2-1,5 m, con un investimento che supera 2000 piante/ha. La produzione si otterrà a partire dal 2-3° anno; le piante sono alte 4-4,5 m e si utilizzano portainnesti come GF 677 nel caso di terreni calcarei, oppure il susino Isthara su suoli compatti e poco permeabili.

La palmetta regolare a branche oblique, diffusa in passato nella pianura padana, è costituita da un fusto sul quale, a 60 cm dal suolo, si inserisce il primo palco di due branche, disposte lungo il filare, esse hanno un angolo di inserzione di 45-55°. In tutto i palchi sono 3-4, il secondo è inserito a 100 cm dal primo, la distanza tende a diminuire tra i palchi successivi; la pianta è alta 4-4,5 m. Una variante di questa forma è la palmetta libera, caratterizzata dalla presenza di 6-10 branche inserite irregolarmente sul fusto ed orientate lungo il filare; sono meno lunghe e più strette rispetto alla palmetta regolare a branche oblique, in quanto si rispetta l’inclinazione naturale, l’entrata in produzione si ha al quarto anno. Il sesto d’impianto in genere è 4 X 3, con una densità pari a 740 piante/ha; è la forma migliore in aree soggette a gelate primaverili tardive, come la pianura padana e la Romagna, in quanto la parte a rischio della pianta è rappresentata dai primi 2 m, mentre la parte superiore è meno soggetta ed in grado di portare i frutti a maturazione.

Un’altra variante della palmetta regolare a branche oblique è il candelabro, costituito dal tronco e dal primo palco di branche, inizialmente dotate di un ampio angolo, poi assumono un portamento assurgente raggiungendo la stessa altezza dell’asse centrale. Il fusto e le due branche portano corte branchette e rami a frutto; questa forma migliora la penetrazione della luce tra branca ed asse centrale, per cui la colorazione dei frutti è più accentuata.

L’ipsilon trasversale è costituito da due branche inclinate a V ed in direzione ortogonale rispetto al filare, l’angolo d’inclinazione rispetto alla verticale è di 40-45°; sulla struttura principale si inseriscono le branchette portanti le formazioni fruttifere. I sesti d’impianto sulla fila sono da 1 a 1,5 m e tra le file si aggirano intorno ai 5-6 m, con una densità compresa tra 1000 e 2000 piante/ha. Con questo sistema è possibile mantenere un sensibile incremento della produzione mantenendo un elevato standard qualitativo, però si riscontrano maggiori costi delle operazioni colturali.

Un pescheto può anche essere realizzato in coltura protetta da febbraio fino alla raccolta, utilizzando materiali di copertura, come il PVC, dotati di un buon effetto serra, trasparenza, resistenza meccanica e durata. Questa tecnica colturale rende possibile la maturazione dei frutti a fine aprile-inizio maggio, periodo durante il quale scarseggia la presenza di frutta fresca sul mercato per cui le pesche spuntano prezzi elevati; spesso però i frutti difettano di colore, pezzatura e qualità gustative. Le forme d’allevamento adottate in peschicoltura protetta sono l’ipsilon trasversale, con sesti d’impianto 4 X 1-2 m, ed il frutteto prato che consiste nel completo rinnovamento annuale della parte aerea; i sesti d’impianto sono 2-1 X 1 m con un investimento variabile dalle 5000 alle 10000 piante/ha. Le cultivar impiegate devono essere dotate di basso fabbisogno in freddo, produttive, poco vigorose e con frutti di buona qualità; quelle più idonee sono le nettarine Armking (a polpa bianca) e Sunred (a polpa gialla) e le pesche Maravilha (a polpa bianca), San Pedro, Flordaprince e Flordastar (a polpa gialla).


Operazioni di potatura

potatura pesco La potatura nel pesco comincia quando le piante sono ancora giovani (potatura di allevamento); una volta formata la parte aerea, la pianta è adulta ed ha raggiunto un equilibrio tra vegetazione (produzione di legno) e riproduzione (produzione di fiori e frutti) che deve essere mantenuto con la potatura di produzione.

A partire dalla messa a dimora degli astoni fino al completamento della forma desiderata (2-4 anni) si esegue la potatura di allevamento, avente lo scopo di assicurare il più rapido sviluppo della struttura scheletrica del pesco in rapporto al sistema prescelto, di favorire una miglior illuminazione delle foglie e di ottenere la più rapida messa a frutto delle giovani piante; non si effettuano solo tagli, ma anche legature e curvature che favoriscono lo sviluppo di germogli mediani. Durante i primi anni di vita le piantine necessitano di una massima superficie fogliare per ricostituire le riserve di carboidrati, di raccorciamenti per favorire la formazione della parte aerea (ad esempio nel caso dell’ipsilon trasversale) e gli eventuali frutti devono essere diradati in quanto sottraggono sostanze nutritive all’attività vegetativa. Nelle forme di allevamento in cui gli astoni sono provvisti di rami laterali guadagnano un anno relativamente alla formazione dello scheletro della pianta.

La potatura di produzione consente il ricambio annuale di una quota adeguata di legno fruttificante.

Eseguita nel periodo invernale, per tutta la vita produttiva del frutteto, ha lo scopo di far raggiungere alla pianta il massimo potenziale produttivo, con una fruttificazione costante e una migliore qualità dei frutti.

Nel pesco la potatura è considerata energica, vengono eliminati succhioni, polloni, rami secchi, ammalati ed il 50-70 % dei rami misti, asportando preferibilmente quelli deboli o troppo vigorosi. I rami misti che producono frutta di miglior qualità sono quelli di media vigoria, inseriti lateralmente su branche primarie o secondarie; su un vaso basso o ritardato si lasciano 50 rami misti per ogni branca principale. I tagli di ritorno sono effettuati per controllare e contenere la dimensione della chioma, specialmente per abbassare piante che tendono a scappare verso l’alto, come nel caso di alberi allevati ad asse colonnare, formando una nuova cima e per raccorciare branche troppo lunghe; nel caso di branchette poco sviluppate è possibile eliminare porzioni vigorose assurgenti in modo tale da stimolare la crescita verso l’esterno del ramo sottostante (sgolatura).

Le nettarine e le percoche producono sia su rami misti che sui mazzetti di maggio, per cui è importante garantire un adeguato rinnovamento dei dardi fioriferi eseguendo raccorciamenti o diradando quelli invecchiati, una volta che se ne sono originati di giovani.

La potatura verde nel pesco serve ad integrare quella invernale, se eseguita a maggio-giugno favorisce l’ottimale distribuzione dei nutrienti, migliorando l’illuminazione della chioma asportando succhioni e polloni; effettuandola 10-15 giorni prima della raccolta nelle cultivar tardive migliora la colorazione dei frutti, mentre a settembre, dopo la raccolta, favorisce la lignificazione dei rami misti e riduce i tempi della potatura secca in quanto vengono eliminate branche esaurite ed alcuni rami misti. Nel pesco comune e nelle nettarine la pratica del diradamento dei frutti è necessaria per evitare negative ripercussioni sulla loro qualità, sulla differenziazione a fiore delle gemme (e quindi sulla produzione dell’anno successivo), sullo sviluppo e sulla lignificazione dei germogli; però nelle varietà soggette a spaccatura del nocciolo, ne accentua il difetto.

È fondamentale mantenere un giusto rapporto tra foglie e frutti, in genere 30-50 foglie per frutto, su rami misti mediamente vigorosi non più di 3-5 pesche/ramo, al fine di ottenere drupe di migliore pezzatura. Il diradamento va eseguito alla quarta-sesta settimana (25-35 giorni) dopo la piena fioritura e prima dell’indurimento del nocciolo; inoltre, essendo praticato manualmente (il diradamento chimico e meccanico non hanno finora dato i risultati sperati), incide pesantemente sui costi di produzione (180 h/ha). Sulle percoche il diradamento è più leggero, lasciando le piante più cariche, in quanto l’industria richiede medie e non grosse pezzature.


Concimazione

Un’adeguata disponibilità di elementi nutritivi consente di ottenere una produzione elevata,

costante negli anni e di buona qualità, quindi, la concimazione deve mantenere un adeguato livello di fertilità del terreno, in modo da permettere un'equilibrata nutrizione delle piante, senza causare effetti negativi sull'ambiente.

Tramite la concimazione sono apportati al suolo i principali elementi minerali, fondamentali per lo sviluppo e la produzione delle piante, quali l’azoto, il fosforo ed il potassio; di questi bisogna reintegrare le asportazioni annuali, rispettivamente 118 kg/ha, 22 kg/ha e 116 kg/ha (riferite ad una produzione di 200 q/ha). È importante tenere conto che la maggior parte degli elementi nutritivi delle foglie ritornano al terreno come quelli dell’abbondante legno di potatura in quanto tutti i residui posti nell’interfila vengono trinciati.

Il pesco è piuttosto esigente in azoto, infatti una sua mancanza induce una scarsa crescita vegetativa e la caduta delle drupe; mentre se l’azoto è eccessivo si ha un peggioramento della qualità dei frutti, che maturano più tardi, l’insorgenza di parassiti (monilia, cidia, anarsia), la lisciviazione dei nitrati in eccesso ed un’esagerata crescita delle piante.

Una concimazione azotata equilibrata favorisce l’attività vegetativa con foglie più ampie di colore verde scuro, aumenta le gemme a fiore, diminuisce la cascola, nelle percoche migliora la consistenza della polpa, migliora la pezzatura dei frutti ed aumenta la produzione.

Nella fase di allevamento la concimazione deve favorire lo sviluppo delle piante per completare rapidamente la struttura scheletrica, senza però stimolare troppo l’attività dei germogli perché ciò ridurrebbe la lignificazione degli stessi e ritarderebbe l’entrata in fruttificazione degli alberi.

In questa fase va dato solo l’azoto, somministrandolo alla dose di 50-100 g per pianta in 2-3 riprese durante il periodo aprile-giugno, localizzandolo intorno alla pianta a breve distanza dal fusto evitando però il diretto contatto con esso al fine di non provocare ustioni.

In fase di produzione la somministrazione di azoto va frazionata in due interventi: a fine estate, dopo la raccolta, per favorire l’accumulo delle sostanze di riserva che verranno utilizzate per sostenere dalla successiva ripresa vegetativa fino ad allegagione avvenuta; in prossimità dello stadio dei bottoni fiorali perchè la pianta assorbe ed utilizza efficacemente l’azoto presente nel terreno solo nel periodo di formazione e maturazione dei frutti.

Il fosforo stimola l’attività delle radici, può scarseggiare in suoli con calcaree attivo superiore al 5% in quanto tende ad essere insolubilizzato, in questi casi si interviene annualmente con dosaggi di poco superiori alle asportazioni in autunno (insieme al potassio).

La presenza del potassio è importante per ottenere una produzione di qualità perché contribuisce a rendere le pesche più colorate, dolci ed acidule. I terreni argillosi in genere sono ben riforniti di questo elemento, la ricchezza di potassio aumenta la disponibilità di ferro, per cui attenua i fenomeni di clorosi. Nel caso di suoli sciolti la concimazione fosfo-potassica va effettuata a fine febbraio per evitare fenomeni di lisciviazione a carico del potassio.

Mediante la concimazione fogliare si possono integrare i microelementi ai nutrienti principali che hanno un’azione fertilizzante pronta, essendo disciolti in acqua ed assorbiti dalle foglie. Questa modalità di somministrazione, integrata alla normale fertilizzazione eseguita al terreno, è particolarmente utile per ridurre la rugginosità dell’epidermide, fornendo sali di calcio che colpisce in particolare le nettarine; anche la clorosi ferrica da calcare viene ben controllata con ripetute applicazioni fogliari di ferro sotto forma chelata.


Irrigazione

Il pesco è una coltura irrigua, in quanto è coltivato prevalentemente in terreni sciolti; il fabbisogno idrico del pesco dal germogliamento alla caduta delle foglie è di 2500-4000 metri cubi, pari a 250-400 mm di pioggia. Nel pesco una carenza idrica da luogo ad una vegetazione stentata con foglie piccole, a frutti di scarsa pezzatura e ad una maturazione scalare; per contro un eccesso d’acqua può provocare danni all’intera pianta causa asfissia radicale ed i frutti sono meno sapidi e serbevoli.

Una corretta gestione dell’irrigazione permette il rallentamento dello sviluppo dei germogli favorendo l’accrescimento dei frutti, questa tecnica è detta "deficit idrico controllato" che consiste nell’indurre uno stress idrico nella pianta, inducendola ad indirizzare la maggior parte delle risorse verso i frutti.

La distribuzione dei volumi irrigui deve differenziarsi in funzione delle diverse situazioni: più frequente nei terreni sciolti che in quelli compatti, più concentrata in primavera-inizio estate per le varietà precoci, abbondante nella fase di fioritura, scarsa fino all’indurimento del nocciolo, molto ricca durante l’accrescimento del frutto; ancora limitata dopo la raccolta seppur continua, per favorire la differenziazione delle gemme e l’accumulo di sostanze di riserva.

I sistemi d’irrigazione più idonei nel pesco sono quelli a goccia o a spruzzo, entrambi a microportata.

L’irrigazione a goccia offre molti vantaggi per l’elevata efficienza di uso dell’acqua (il 90% dell’acqua somministrata è utilizzata dalle piante), per la non bagnatura delle foglie degli alberi, che potrebbe favorire l’attacco di alcuni patogeni, per la minore o assente percolazione e quindi per il ridotto dilavamento degli elementi nutritivi e per il contenimento dello sviluppo di infestanti venendo bagnate solo piccole porzioni di terreno. Si può ricorrere inoltre alla fertirrigazione per rigenerare le caratteristiche nutritive del terreno esplorato dall’apparato radicale della pianta in una zona ristretta e limitata con conseguente esaurimento della capacità nutrizionale.

L’irrigazione a spruzzo prevede la stessa tecnica dell’impianto a goccia con ali spruzzanti in questo caso posate sui tiranti di sostegno dei filari; nel caso del pesco gli spruzzatori sono sottochioma perché, bagnando la pianta, si possono creare condizioni favorevoli allo sviluppo di parassiti come la monilia che causa marciumi sui frutti.


Raccolta

raccolta pescheSe i frutti sono raccolti al momento opportuno vengono esaltate le loro caratteristiche qualitative e la loro conservabilità; l’epoca ottimale di raccolta è individuata facendo riferimento a diversi indici di maturazione tra cui: il colore di fondo della buccia utilizzando delle carte colorimetriche, la durezza della polpa, misurata con strumenti chiamati “penetrometri” (valori compresi tra 4,5 e 5,5 con puntale del penetrometro di 8 mm) ed il residuo secco rifrattometrico (RSR, esprime il contenuto zuccherino), determinato con un rifrattometro; per le pesche precoci è pari a 9,5, a 10 per quelle a media maturazione ed a 10,5 per le tardive.

La raccolta troppo anticipata da luogo a frutti con scarse caratteristiche organolettiche, mentre se effettuata tardivamente le pesche sono troppo mature, per cui sensibili alle manipolazioni e non conservabili. A causa della deperibilità dei frutti, una volta eseguita la raccolta non devono trascorrere più di 6-8 ore per la lavorazione in magazzino, in caso contrario si ricorre alla prerefrigerazione ad acqua o ad aria. La pesca di solito si conserva per una settimana, in alcuni casi si può conservare per 15-20 giorni in atmosfera normale e 30-40 in atmosfera controllata.

Nel pesco la raccolta è l'operazione colturale più onerosa in quanto i frutti non si raccolgono in un’unica soluzione, ma con 3-4 stacchi nel caso di cultivar a maturazione scalare, questo anche a causa della delicatezza dei frutti. La raccolta può essere manuale oppure integrata, cioè eseguita mediante l’ausilio di carri raccolta su cui si dispongono parte degli operatori, soprattutto con forme d’allevamento dotate di un’alta parete produttiva, in primis la palmetta e l’asse colonnare ma anche il fusetto.

In entrambi i casi, i frutti raccolti vengono posti in cassette poste su bancale (pallet) o, meglio, in cassoni palettizzati sollevabili da un elevatore a forche montato sulla trattrice; un bravo raccoglitore ha una resa media oraria di frutti raccolti che si aggira intorno al quintale.


Pesco - Prunus persica: I principali parassiti ed il loro controllo

bolla del pesco I principali parassiti del pesco, con i danni da essi provocati e le eventuali modalità di contenimento, si possono sintetizzare come segue.

Bolla del pesco (Taphrina deformans): si tratta di un fungo che colpisce foglie e germogli, in caso di attacchi molto virulenti, su cultivar sensibili, può instaurarsi anche su fiori e frutti; favorito da condizioni di bagnatura degli organi, elevata umidità e temperature di almeno 7-8 °C, mentre intorno a 15-16 °C sono ottimali (il fungo si blocca con temperature superiori a 26-28 °C). I giovani germogli, in fase di apertura delle gemme, escono già deformati, con le foglioline trasformate in ammassi di consistenza carnosa di colore giallo-arancio o rosso intenso; le foglie possono presentare una bollosità che ne accentua la deformazione. I germogli colpiti arrestano lo sviluppo disseccando nei mesi estivi, con grave danno sia per le piante in allevamento che per quelle in fase di produzione. Sulle nettarine, molto sensibili alla bolla, possono essere interessati anche fiori e frutti, quest’ultimi in post-allegagione cadono a terra, mentre in fase di accrescimento presentano una superficie bollosa di color arancio-rossastro e sono soggetti a marciumi, causati da altri funghi. La lotta contro questo patogeno è esclusivamente preventiva: il primo intervento si effettua una volta cadute le foglie con prodotti rameici; mentre il secondo tra la fine di gennaio ed il termine di febbraio, a seconda delle aree geografiche in concomitanza con l’innalzamento della temperatura, prima dell’apertura delle gemme. Un eventuale trattamento può essere eseguito prima della fase di bottoni rosa in caso di gravi attacchi nelle annate precedenti oppure sulle nettarine, in quanto molto sensibili.

Corineo o vaiolatura del pesco (Coryneum beijerinckii): è un fungo che determina alterazioni su foglie, rami e frutti; favorito dalle condizioni simili a quelle della bolla, a differenza di essa non penetra attivamente nella pianta ma attraverso le lesioni presenti. Sugli organi colpiti il fungo si manifesta con delle tacche depresse di color rosso-brunastro con alone giallastro, queste possono confluire tra loro evolvendo in piccole lesioni longitudinali necrotiche che provocano disseccamento dei giovani rametti ed un indebolimento delle branche, le quali risultano più sensibili ad altri parassiti del legno. Gli interventi nei confronti del corineo sono strettamente legati a quelli contro la bolla in quanto entrambi i patogeni agiscono nello stesso periodo stagionale; il primo trattamento può essere fatto con prodotti rameici a defogliazione completa, perché in genere la lignificazione dei germogli è già avvenuta, il secondo intervento si effettua con altri fungicidi di copertura. Una buona pratica agronomica consiste nell’eliminazione dei rami colpiti con la potatura secca, o invernale.

Oidio del pesco (Sphaerotheca pannosa): si tratta di un fungo che colpisce specialmente gli organi erbacei ed i frutti; favorito da temperature comprese tra 10 e 30 °C, umidità elevata ed assenza di bagnatura. Sulle foglie si sviluppano delle aree clorotiche ricoperte da un micelio biancastro, sui frutticini, soprattutto sulle nettarine, le chiazze ricoperte dal micelio del patogeno necrotizzano e suberificano, provocandone la cascola. In zone a basso rischio d’infezione (pianura) si interviene preventivamente solo su cultivar molto sensibili alla scamiciatura ed in fase di ingrossamento del frutto; altrimenti vengono fatti trattamenti soltanto alla comparsa dei sintomi utilizzando fungicidi sistemici, che esplicano un’azione curativa: vengono infatti assorbiti dalla pianta, evitando il dilavamento e traslocati in tutte le sue parti. In aree collinari, molto più favorevoli allo sviluppo della malattia, ogni 10 giorni si effettuano interventi preventivi tra la fine della fioritura e la fase di frutto noce, integrando ai prodotti di copertura quelli sistemici; successivamente si opera solo in caso di comparsa dei sintomi.

Monilie (Monilia laxa e Monilia fructigena): sono funghi che si instaurano sui rametti e sui frutti; favoriti da condizioni di elevata umidità e piogge. Durante la fioritura il fungo penetra attraverso i fiori che mummificano e sono ricoperti dal micelio grigio del fungo, la parte terminale dei rametti collassa improvvisamente e sul legno si formano piccole tacche depresse che evolvono in cancri, con emissione di gomma. I frutti sono colpiti soprattutto dall’inizio della maturazione, inizialmente si manifesta un rammollimento di una parte del frutto, in seguito si forma uno strato di muffa grigiastra che può essere zonato o sotto forma di cerchi concentrici che causano marciumi e mummificazioni; i frutti colpiti ancora attaccati alla pianta sono un alto potenziale d’inoculo del patogeno per l’anno successivo. Per limitare la presenza del fungo mediante la potatura vanno eliminati i rametti colpiti, i frutti marci e la chioma deve essere ben arieggiata. In caso di condizioni favorevoli allo sviluppo del fungo, su varietà sensibili (specialmente le nettarine), eseguire trattamenti preventivi con prodotti sistemici tra lo stadio di bottoni rosa e l’allegagione. In prossimità della maturazione vanno effettuati trattamenti da 5 a 3 settimane fino a 7-10 giorni prima della raccolta, con distanza di 15 giorni tra un intervento e l’altro.

Cancri rameali (Fusicoccum amygdali, Cytospora spp., Valsa spp.): si tratta di funghi che colpiscono sia i rami più giovani che quelli grossi; l’infezione in genere si ha in autunno ed in primavera in quanto questi patogeni sono favoriti da elevata umidità, piogge e temperature di 15-18 °C; la penetrazione all’interno della pianta è dovuta a ferite da taglio o da grandine e dalle microlesioni prodotte dal distacco di foglie e frutti. Sui rametti in prossimità delle gemme si formano aree necrotiche depresse che evolvono in cancri longitudinali, con lesioni e fuori uscita di gomma; la stessa cosa avviene anche sui rami più grossi in seguito a cancri corticali che interessano tutta la circonferenza degli stessi. Per limitare questi patogeni mediante la potatura vanno eliminati i rami infettati e disinfettati i tagli grossi, possibilmente da evitare; altrimenti la cosa migliore è ricorrere a varietà tolleranti o resistenti. La lotta chimica va effettuata preventivamente, miscelando fungicidi sistemici e di copertura, in pescheti già colpiti in passato, con due trattamenti in autunno, il primo all’inizio della caduta delle foglie ed il secondo a metà delle foglie cadute; si interviene due volte anche in primavera: ai bottoni rosa ed a fine fioritura.

Mal del piombo (Stereum purpureum): è un fungo che colpisce le foglie e gli organi legnosi; favorito da periodi umidi e piovosi; la penetrazione all’interno della pianta è dovuta a lesioni. I primi sintomi si manifestano sulle foglie con una colorazione argentea e plumbea con tipici riflessi metallici, in seguito assumono un aspetto bolloso, contorto e carnoso con diminuzione della fotosintesi. Il fungo attacca direttamente le branche e le piccole o grosse radici provocando profonde alterazioni necrotiche che danno origine ad una vera e propria carie. Per controllare il patogeno bisogna eliminare completamente le piante infette e vanno disinfettati i tagli grossi; è possibile ricorrere all’utilizzo del fungo antagonista Trichoderma viridae inoculandolo in soluzione acquosa o come micelio sulle piante colpite.

Afide verde del pesco (Myzus persicae): si tratta di un insetto che colpisce prevalentemente foglie e germogli, sulle nettarine, più sensibili, anche i fiori ed i frutticini; sul pesco compie 3-4 generazioni l’anno fino ad inizio estate. Sulle foglie e sui germogli si manifestano marcati accartocciamenti seguiti da un arresto di sviluppo e necrosi degli stessi; attacchi in fioritura causano aborti fiorali e colatura dei fiori, i frutticini sono soggetti a deformazioni. Inoltre emettono abbondanti secrezioni zuccherine (melata) che favoriscono l’insorgenza di alcuni funghi (fumaggine) i quali riducono l’efficienza fotosintetica. I campionamenti vanno fatti a partire dalla fase di punte verdi, la presenza dell’afide si valuta contando 100 gemme, o bottoni fiorali (germogli in post-fioritura), e si interviene al superamento delle soglie: 3% di germogli infestati sulle nettarine (più sensibili), mentre su pesco comune e percoche 3% di bottoni rosa colpiti in pre-fioritura e 10% di germogli infestati in post-fioritura. Gli interventi possono essere effettuati con insetticidi a basso grado di tossicità oppure tramite i funghi antagonisti Entomophtora fresenii e Verticillum lecanii; inoltre in natura vi sono numerosi nemici naturali, tra cui le coccinelle.

Tignola orientale del pesco o cidia (Cydia molesta): è un insetto che attacca i germogli ed i frutti; compie 4-5 generazioni l’anno. Le larve della 1^ generazione scavano gallerie all’interno dei germogli causandone l’avvizzimento e la successiva perdita; le generazioni seguenti si insediano sui frutti entrando dal peduncolo o da altri punti di contatto come rami, foglie ed un eventuale frutto vicino. Le larve scavano gallerie fino a raggiungere il nocciolo, i frutti colpiti emettono un grumo di gomma, inoltre sono soggetti a cascola ed a marciumi provocati dalle monilie.

Tignola del pesco o anarsia (Anarsia lineatella): si tratta di un insetto che colpisce i fiori, i frutti ed i germogli; compie tre generazioni l’anno. Ad inizio primavera le larvette entrano nei fiori distruggendoli, dopo l’antesi danneggiano i germogli; in un secondo momento attaccano i frutti causando danni simili a quelli prodotti dalla cidia. Le tignole vengono combattute secondo i criteri della lotta integrata, effettuando monitoraggi con trappole a feromoni sessuali per controllare la presenza degli adulti e campionamenti sui germogli al fine di individuare i danni provocati dalle larve. Il monitoraggio prevede il posizionamento di 2-3 trappole ad ettaro, a partire dalla prima decade di aprile per la cidia, mentre verso la fine dello stesso mese nel caso di anarsia; in entrambi i casi la soglia d’intervento corrisponde alla cattura di 10 adulti per trappola in due settimane, mentre si effettua il trattamento chimico contro le larve quando i germogli infestati superano il 10%. In alternativa agli insetticidi contro le tignole può essere impiegato il batterio Bacillus thuringiensis ssp. Kurstaki; altrimenti è possibile ricorrere al metodo della “confusione”, che si basa sull’impiego di erogatori di feromoni aventi lo scopo di ridurre gli accoppiamenti tra maschi e femmine adulti.

Cocciniglia di San Josè (Comstockaspis perniciosa): è un insetto che si insedia su parti legnose, foglie e frutti; compie tre generazioni all’anno. Sulle parti legnose si notano alterazioni cromatiche rossastre che conducono a progressivi deperimenti e disseccamenti dei rami. Sui frutti si manifestano tante macchie rossastre, al cui centro c’è un puntino grigio, sparse su tutta la superficie o concentrate in alcuni punti; queste chiazze determinano il deprezzamento e l’esportazione verso l’Europa, dove la presenza del fitofago non è ancora esagerata. Gli interventi chimici sono obbligatori perché questo insetto può compromettere la commercializzazione della frutta colpita anche con pochi puntini. Il primo trattamento si esegue alla rottura delle gemme con i polisolfuri, distribuiti solo in questa fase perché sono tossici per la vegetazione, se già presente; in corrispondenza dell’uscita degli stadi giovanili di ogni generazione intervenire tempestivamente con gli esteri fosforici. Un parziale controllo di questo fitofago può essere esercitato dai nemici naturali, ad esempio le coccinelle.

Cocciniglia bianca del pesco (Diaspis pentagona): è un insetto che colpisce gli organi legnosi e, talvolta, i frutti; compie 2-3 generazioni all’anno. Il fitofago si nutre mediante delle punture sulle parti legnose, provocandone asfissia nel caso di una sua massiccia presenza; qualora attaccassero i frutti su di essi si manifesta un alone rossastro, però il danno è commerciale perché le pesche non possono essere esportate. Il monitoraggio si esegue a metà aprile ponendo 1-2 trappole di feromoni sessuali ad ettaro, al momento di massima presenza degli stadi giovanili della prima generazione si interviene chimicamente. Un metodo adottato per il controllo di questi insetti è quello della cattura massale, che consiste nel mettere delle trappole innescate con feromoni sessuali (dieci ad ettaro) mediante le quali vengono catturati i maschi che non fecondano le femmine. In natura sono presenti alcuni nemici naturali di questo fitofago, tra cui le coccinelle.


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