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Il kaki è considerata una specie subtropicale, però si adatta molto bene ai climi temperato caldi; è sensibile a temperature invernali inferiori a – 15 °C ed alle gelate primaverili, le piantine giovani possono essere protette dai freddi eccessivi con del materiale pacciamante. Il vento può provocare danni ai rami portanti i frutti, caratterizzati da un’elevata fragilità. Il diospiro predilige terreni profondi, sciolti, di medio impasto fertili, freschi e ben drenati, mentre rifugge quelli eccessivamente umidi e compatti in quanto è sensibile all’asfissia radicale. Il loto è originario della Cina e del Giappone, nel 1900 si è diffuso nel bacino del Mediterraneo, in Italia è coltivato al centro-sud, in Emilia-Romagna ed in Veneto.
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Le cultivar di kaki si distinguono tra loro in base all’astringenza delle bacche in quattro gruppi: costanti alla fecondazione non astringenti, costanti alla fecondazione astringenti, variabili alla fecondazione non astringenti, variabili alla fecondazione astringenti.
Le varietà del primo gruppo sono dette anche kaki ragno in quanto i frutti sulla parte inferiore presentano delle striature a forma di rete. Possiedono i semi e producono frutti eduli molto dolci fino dalla raccolta; le più importanti sono kaki dolce, Jiro, Hana Fuyu e O-Gosho.I kaki del secondo gruppo hanno i semi e sono astringenti alla raccolta, per cui sono sottoposti alla post-maturazione o ammezzimento; tra queste cultivar si ricordano Hachiya, Yokono e Shakoku.Il terzo gruppo è caratterizzato da frutti partenocarpici che subiscono la post-maturazione in fruttaio, le varietà principali sono kaki tipo (la più coltivata in Italia), Nishimura e Vainiglia.I frutti del quarto gruppo possono essere apireni e sono eduli soltanto intorno ai semi, per cui si sottopongono all’ammezzimento; la cultivar più rappresentativa è Hiratanenashi. Tra gli impollinatori maschili si ricorre prevalentemente a Kaki Mercatelli e Kaki Rispoli.Il loto si moltiplica per seme per l’ottenimento dei portainnesti, mentre le varietà vengono innestate su di essi. Il portainnesto maggiormente impiegato è ottenuto dai semenzali di Diospyros lotus (messo a dimora anche a scopo ornamentale), resistente alla siccità ed al freddo, per quest’ultimo motivo è utilizzato nella pianura padana ed in Trentino; è disaffine con le cultivar non astringenti.
Il franco è sensibile ai freddi invernali ed ai ristagni idrici, viene impiegato al meridione per le varietà non astringenti. Un altro portainnesto, utilizzato in Sicilia e negli Stati Uniti, è Diospyros virginiana (loto americano), caratterizzato da una forte attitudine pollonifera e da frutti piccoli.All’impianto va eseguita una concimazione con del letame maturo.
Le forme di allevamento utilizzate in passato erano la piramide ed il vaso, rispettivamente con sesti d’impianto di 5,5 X 5 m e 6 X 6 m. Attualmente il sistema più diffuso è la palmetta irregolare che, a differenza delle altre due, è una forma appiattita in parete; le distanze d’impianto sono di 4,5 X 3,5-4 m, con una densità di 500-600 piante/ha. La potatura di produzione, svolta nel tardo autunno, consiste nel diradamento delle formazioni fruttifere in eccesso, nel caso di alberi vecchi si effettuano anche interventi drastici per ringiovanirle. Con la concimazione vengono apportati azoto, fosforo e potassio secondo i rispettivi dosaggi: 70-90 kg/ha, 40-50 kg/ha e 130-150 kg/ha. La somministrazione di azoto è frazionata in almeno due interventi: in autunno ed in primavera, mentre fosforo e potassio si distribuiscono verso la fine dell’inverno. Il kaki non necessita di irrigazione, però se effettuata migliora la pezzatura dei frutti.L'operazione più impegnativa è la raccolta, che va eseguita al momento giusto: non troppo anticipata, poichè i frutti immaturi sono di peggiore qualità e vanno incontro ad alterazione, ma nemmeno troppo tardiva, in quanto i frutti iniziano a rammollire ed aumenta il rischio di infezioni fungine.I parassiti vegetali che si possono instaurare sul diospiro sono il tumore batterico del colletto e la malattia fungina della muffa grigia, che nel caso di raccolte tardive causa marciumi sui frutti.
Gli insetti più pericolosi sono la mosca della frutta, le cui larve, specialmente nel meridione, scavano gallerie nel frutto, e la sesia, le cui larve attaccano il punto d’innesto provocando deperimento e, nelle piante più giovani, lo stroncamento. Al superamento delle soglie di intervento si può trattare con degli insetticidi; nel caso della mosca della frutta un’alternativa praticabile è la tecnica dell’autocidio, che consiste nell’immissione nell’ambiente di grandi quantità di insetti sterilizzati in laboratorio al fine di sostituire i fitofagi fecondi in modo da ridurre il potenziale riproduttivo della specie.
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